Mandati a custodire la vita

Ci sono momenti in cui è forte l’urgenza di muoversi e di andare. Sono situazioni e circostanze in cui la verità del proprio restare corrisponde alla disponibilità a lasciarsi mandare altrove. Diventare discepoli, infatti, è possibile solo diventando apostoli. Perché seguire il Maestro è anche precederlo lungo le strade, preparare il suo incontro con gli altri, testimoniare che il suo regno si è fatto vicino. E, forse, solo lasciando che egli ci mandi nel mondo, nella concretezza delle case e delle città, diventiamo pienamente discepoli, certi che l’unico vanto di cui vantarci è la croce con la quale egli ha scritto i nostri nomi nel cielo, li ha resi vivi e saldi nella memoria del Padre.

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Imparare a dirigere il volto

Ci sono svolte in cui la fede è messa alla prova, è chiamata a reagire davanti agli eventi, è spinta a decidersi e a fare scelte. Credere, infatti, non è assentire e dire cose, ma muovere i passi su un cammino nuovo, restare per via e senza dimora, incontrare ostacoli e ostilità. Ed è allora che bisogna fermare lo sguardo sul volto del Cristo, per scoprire che è un volto orientato, che guarda fisso verso una meta, che indica, con fermezza e ostinazione, che la sequela sconvolge la vita, che ogni invio è congedo urgente, è decisione che spezza legami perché guarda avanti e guarda oltre. 

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Solo uno è l’albero buono

Venti di guerra scuotono la terra e le travi che abbiamo negli occhi, quelle che finora abbiamo fatto finta di non vedere, non possiamo più nascondercele. Siamo tutti chiamati in causa, tutti complici nella gestione delle cose del mondo, delle ricchezze e del benessere, delle relazioni e delle concessioni al male che abbiamo fatto per interesse, con la speranza, inutile e vana, che il male non venisse mai fuori. E ora non possiamo meravigliarci se quest’albero produce ancora frutti cattivi, se solo il fosso è la meta di ciechi che hanno fatto da guida ad altri ciechi. E proprio ora, in questo contesto di tenebra, c’è ancora una Parola che ci inchioda a ciò che è attuale. 

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L’amore è la vera ingiustizia

Mentre risuonano, come sempre, venti di guerra e si diffondono ovunque parole che dividono e contrappongono, la vita è scossa e liberata da un comando che già conosciamo. Davanti al male e ai nemici, davanti alla lotta e alla guerra, davanti alla violenza e al sopruso, davanti all’odio che incontriamo ovunque, non ci è stata promessa la certezza di uscirne illesi, di superare l’ostacolo, di vincere su chi ci vuol male. Ci è stata data solo una parola, la più alta e la più sconosciuta, quella a cui si ribella la vita, quella che suscita sdegno e grida ingiustizia. Amate!

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Benedizione e maledizione

È difficile districarsi tra le cose della terra e quelle del regno, tra i fondamenti che sorreggono il mondo e quelli su cui si fonda la vita del regno. E in mezzo resta la sfida lanciata ad ogni discepolo, ad ogni uomo che non voglia ridurre la fede a cornice e ornamento della propria vita. È sfida alta e difficile perché è la vita, prima o poi, a chiederci conto del sostegno che abbiamo scelto. Non possiamo sottrarci alla scelta, dobbiamo deciderci su chi confidare e a chi affidarci. Ed è inutile stare a fare troppo i sottili, a distinguere e a lambiccare. Perché non c’è modo di restare in piedi se non accettando di affidare la propria vita a qualcuno che sia in grado di reggerla e sostenerla, a qualcuno che sia fedele e non tradisca, a qualcuno dal quale niente e nessuno possa mai allontanarci. Bisogna imparare, però, ad essere radicali perché la scelta si imprima, giorno dopo giorno, in tutte le scelte. 

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Perché le reti non restino vuote

Aumenta ogni giorno l’elenco dei “fallimenti” dei credenti e delle chiese. E aumentano le diagnosi e le terapie, i tentativi di riscossa e di ripresa. Si ragiona e fatica tanto, si prospettano soluzioni e strategie, riorganizzazioni e cambiamenti. E, invece, la notte si fa sempre più lunga, le fatiche restano vane e le reti vuote. E dimentichiamo che non siamo noi a faticare, che non sono le nostre strategie umane a pescare viva la vita. A noi è chiesto di avere fede, di affidarci alla Parola per non sprecare tempo ed energie a lavare e a riassettate reti che restano vuote.

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Un Dio che non ci appartiene

Presi dall’ansia di piacere a tutti, di sentirci accettati, dimentichiamo che il compimento di ogni annuncio è scritto sulla carne dell’Uomo di Nazareth. E quella carne non ha avuto vita facile, non ha accolto applausi e consensi. È carne impastata di cielo che ci invita ad uscire allo scoperto. Spesso, davanti al rischio di non essere apprezzati, di non essere alla moda e al passo coi tempi, ci viene voglia di sistemare le cose, di riadattare tutto secondo il consenso, di ammodernare secondo i sondaggi. Preferiamo non urtare nessuno e sembra che, alla fine, siamo noi i primi a non prendere troppo sul serio che in Gesù è Dio che si è rivelato, un Dio che si è fatto vicino e che, per questo, continua a restare Mistero. 

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