Attratti dall’amore ed essere pane

V di Quaresima B (Ger 31,31-34; Eb 5,7-9; Gv 12,20-33)

Vedere Gesù è ancora possibile finché ci saranno uomini e donne che, seguendolo sulla via dell’amore, sapranno essere lì dove egli è. Ed è questa la gloria che il Padre e il Figlio si donano: produrre molto frutto. Gesù, come il chicco di grano, muore da Figlio per dare figli al Padre, per moltiplicare l’amore e far risplendere il giudizio su questo mondo in cui il male sembra avere la meglio. E inizia così l’attrazione di tutti. Il Crocifisso diventa il centro di una storia nuova, in cui tutti, figli e fratelli, sanno amare donando la vita e produrre grano buono e abbondante. E ci sarà pane e la terra sarà casa. Sarà famiglia.

Tra quelli che erano saliti per il culto durante la festa c’erano anche alcuni Greci. Questi si avvicinarono a Filippo, che era di Betsàida di Galilea, e gli domandarono: «Signore, vogliamo vedere Gesù». Filippo andò a dirlo ad Andrea, e poi Andrea e Filippo andarono a dirlo a Gesù (Gv 12,20-22)

Dei Greci si avvicinano a Filippo e fanno la richiesta che ogni “straniero” alla fede, ogni lontano, dovrebbe poter fare ancora. Vogliamo vedere Gesù! Filippo lo dice ad Andrea. Sono due discepoli dal nome greco. I Greci si accostano e chiedono a Filippo perché sanno che questi ha qualcosa in comune con loro, non è un estraneo. I Greci si accostano a Gesù tramite la mediazione e la testimonianza di coloro che sentono vicini a sé, accomunati da qualcosa che non li rende estranei. Per giungere a vedere Gesù, spesso, bisogna passare attraverso la testimonianza dei suoi discepoli. Si può vedere Gesù attraverso il contagio e la contaminazione reciproca. Anche oggi gli altri possono vedere Gesù attraverso di noi e tanto più ci chiederanno di volerlo vedere, quanto più ci sentiranno in comunione, in solidarietà con i loro bisogni, le loro attese, le loro vite.

Vedere un uomo è cosa facile per chi sa riconoscerlo e dove trovarlo. Eppure, in Giovanni, la domanda apre orizzonti altri e risuona ancora, dopo tanti secoli, domanda a cui ci è difficile dare risposta. Cosa dire a chi ci chiede che vuole vedere Gesù? Dove mandarlo, come orientarlo, quali segni fornire perché sappia riconoscerlo? E, ancora più a fondo, abbiamo noi la stessa tensione, il desiderio di vedere Gesù? Vedere è riconoscere e incontrare. E noi, sempre in cerca di Dio, facciamo fatica a vedere Gesù, a riconoscerlo e a incontrarlo. Rischiamo di scambiare il suo volto con quello delle nostre idee, il suo viso con le nostre attese, la sua presenza con le nostre voglie.

Gesù rispose loro: «È venuta l’ora che il Figlio dell’uomo sia glorificato. In verità, in verità io vi dico: se il chicco di grano, caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto. Chi ama la propria vita, la perde e chi odia la propria vita in questo mondo, la conserverà per la vita eterna. Se uno mi vuole servire, mi segua, e dove sono io, là sarà anche il mio servitore. Se uno serve me, il Padre lo onorerà (Gv 12,23-26)

Per vedere Gesù, però, bisogna che giunga l’ora della glorificazione. Bisogna che il Padre dia gloria al Figlio e faccia vedere la gloria che lo riveste. La glorificazione del Figlio è possibile se il Padre mostra, nel Figlio, la sua presenza, il peso della sua identità. Gloria è il nome assurdo che Gesù dà alla sua morte. L’ora è quella della croce. È attraverso il passaggio della croce che Gesù potrà mostrarsi all’intera umanità.

Gesù dà quindi un annuncio solenne, come se stesse annunciando una verità sconosciuta che, nonostante l’enfasi, è una verità banalissima, che ogni contadino conosce. Il chicco di grano deve morire per produrre frutto. È, tuttavia, una verità nuova perché Gesù la applica alla sua vita. Gesù muore come il chicco di grano per dare vita a innumerevoli altri chicchi di grano. Il Figlio dell’uomo è glorificato perché, nella sua morte, tanti altri uomini diventano figli come lui è figlio.

Il frutto che viene prodotto è la figliolanza divina che ognuno riceve grazie all’unico chicco di grano, il Cristo Gesù, che accetta di cadere in terra e morire per donare la sua unica vita a ciascuno di noi. I Greci e tutti gli altri possono vedere Gesù perché egli ha scelto la via del seme e della morte. Ed è così che non è più solo, ma germoglio che rende feconda la storia, grano abbondante e prezioso. Quel corpo, perché sia rivelato, dovrà prima essere sepolto e nascosto, affrontare la morte e da lì fuoriuscire per generare e moltiplicare il frutto.

Vedranno il grano e il pane fragrante e sapranno che egli è Gesù, che egli è il Signore, perché avranno cibo di cui nutrirsi, avranno abbondanza di cui vivere appieno. Avranno fratelli che li sanno amare. Ed è per questo che Gesù invita chi lo ascolta ad essere partecipi di questa sua stessa vicenda.

Si può odiare la propria vita? La odiamo spesso e per tanti motivi, bestemmiamo la vita e la storia, perché siamo tristi e angosciati, perché vorremmo vite diverse, racconti meno sofferti. E Gesù, invece, ci annuncia la verità più assurda: si può odiare la vita, non per disgusto e stanchezza, per delusione e cinismo, disinganno e dolore, ma semplicemente perché si vuole vivere appieno. Gesù parla di amare la propria vita, tuttavia il termine greco sta a significare la propria personalità, idee, modi di vedere, affermazione personale. Chi ama affermare se stesso è destinato a perdersi perché solo chi è disposto a rinunciare a se stesso in questo mondo può conservare la sua vita, e questa volta il termine greco indica proprio la vita in senso di vitalità, di vita piena. La contrapposizione è tra il vivere in maniera fissata, ancorata alle logiche personali, e la possibilità di avere vita piena e per sempre. La scelta è fra l’affermazione personale in questo mondo e la vita eterna, che non è la vita dopo la morte, ma la vita che il Figlio ci ha già donato.

Odiare la propria vita è scoprire che non è vita limitarsi a sopravvivere, ma è vita vera quella che giunge al dono e all’abbandono. Vivere è amare e amare è donarsi. Vivere è ricevere onore dal Padre, ricevere la gloria del Figlio, ricevere, quindi, la sua stessa croce. Seguire lui per essere lì dove egli è. Ed egli è proprio lì dove non lo aspettavamo. Servizio e sequela chiedono di essere con lui lì dove egli si trova, di fare con lui la stessa strada, di sapere che egli è con noi lungo il percorso. Essere lì dove è Gesù significa essere nascosti con lui, disposti a morire, seguendolo sulla via della croce. 

Come il Figlio viene glorificato e la gloria del Figlio consiste nel guadagnare dei fratelli attraverso la sua morte, così anche ciascuno di noi viene onorato dal Padre perché, attraverso il nostro stare lì dove è Cristo, anche noi moltiplichiamo la vita in noi e nei nostri fratelli. E tutto questo, però, ci chiede di far morire il nostro egoismo e tornaconto per produrre frutto, cioè fraternità e relazioni nuove.

Servire il Figlio è avere onore dal Padre, essere da lui abbracciati perché non è solo chi cade a terra e muore, chi fa della sua vita un dono, un servizio che moltiplica e ravviva il bene.

Adesso l’anima mia è turbata; che cosa dirò? Padre, salvami da quest’ora? Ma proprio per questo sono giunto a quest’ora! Padre, glorifica il tuo nome». Venne allora una voce dal cielo: «L’ho glorificato e lo glorificherò ancora!». 
La folla, che era presente e aveva udito, diceva che era stato un tuono. Altri dicevano: «Un angelo gli ha parlato». Disse Gesù: «Questa voce non è venuta per me, ma per voi. Ora è il giudizio di questo mondo; ora il principe di questo mondo sarà gettato fuori. E io, quando sarò innalzato da terra, attirerò tutti a me». Diceva questo per indicare di quale morte doveva morire
(Gv 12,27-33)

Gesù è turbato nell’anima. Perché amare è doloroso. È turbata l’anima del Figlio perché assapora il nudo e spoglio sentiero che porta il seme al germoglio, che porta la morte alla vita, che porta il solo a diventare grano abbondante. Eppure è per quest’ora cruciale che il Figlio è venuto. È proprio per questo che egli è nato. 

E allora chiede che il Padre glorifichi se stesso. Si compia la morte, si compia il dono e si compia l’amore. Il Padre e il Figlio si danno gloria a vicenda non in una chiusura egoistica. Il Figlio glorifica il Padre facendogli generare figli nella sua morte, il Padre glorifica il Figlio donandogli fratelli. Dall’alto della croce, infatti, Gesù dirà a Maria, sua madre, “Ecco tuo figlio” e vediamo la moltiplicazione dei fratelli e dei figli, il seme produce frutto abbondante.

E poi la voce dal cielo, venuta per quelli che ascoltano. È difficile, infatti, credere a un Figlio che glorifica il Padre ed è da questi glorificato nel momento in cui gli occhi umani vedono semplicemente il rifiuto, un uomo reietto e condannato. Ma è in quella morte che il Padre dà gloria a sé, ossia manifesta la sua presenza nel mondo, fa vedere la santità del suo nome, fa assaporare il suo amore. E, di gloria in gloria, di dono in dono, di amore in amore, si compie il giudizio del mondo.

Quella che sulla croce appare come una maledizione è, in realtà, l’esecuzione del giudizio del mondo destinato a passare. È destinato a finire il mondo fondato sull’egoismo, sulla caparbietà umana di trattenere ogni cosa ignorando la vita vera che viene dal Padre. 

Se guardiamo al mondo, alla storia quotidiana che intreccia le nostre vite, c’è bisogno di fare giustizia, c’è bisogno di mettere a posto le cose, di dichiarare da che parte sta il bene. E Gesù dice che il giudizio è già avvenuto. Il principe del mondo, il Satana che divide e seduce, che accusa e spinge al male, che denuncia e semina dubbi, è già fuori da questo mondo, è già vinto e sconfitto per sempre. E il Figlio innalzato da terra è il centro di tutta la storia, il perno che regge il mondo, attrazione che tiene ogni cosa. 

Il Crocifisso attira tutti a sé perché innesta, nella nostra mentalità, la realtà dell’amore che rende figli, dell’amore che sconfigge, una volta per tutte, l’immagine di un dio così come la nostra mente lo immagina. Ci manifesta il volto di un Dio che nell’unico Figlio crocifisso ci ha donato tutto. La forza di attrazione della croce è la forza dell’amore. 

Tra il chicco di grano caduto in terra e il Cristo innalzato da terra, tra il produrre molto frutto e l’attirare tutti a sé c’è una relazione strettissima. “Vogliamo vedere Gesù”. 

Dove poter vedere Gesù, come vederlo? Lo vediamo sulla croce e nella famiglia che nasce ai piedi della croce, in quest’unico Padre e quest’unico Figlio che, donando a noi il dono dello Spirito, ci hanno resi un’unica famiglia. Siamo figli nel Figlio e quindi fratelli. È lì che si è compiuta la nostra unione, è lì che nasce la Chiesa e la fraternità, è lì che nasce la legge nuova, che Dio ha scritto nel nostro cuore, l’alleanza nuova sancita sulla croce, sigillata con il sangue di Cristo.  

Abbiamo anche noi il compito di mostrare Gesù a chi ci chiede di poterlo vedere. E potremo farlo se saremo anche lì dove egli è, se sapremo anche noi vivere la glorificazione così come lui l’ha vissuta. E attratti da lui ci avviciniamo ai fratelli. Le parole di Gesù sono forti e potenti, sono squarcio che unisce la terra e il cielo, sono promessa di tempi nuovi in cui ognuno potrà vedere Gesù perché vedrà l’amore con cui egli ci ama, potrà vedere l’amore con cui noi ci amiamo.

Eppure non vedo quest’attrazione, non sento gente che chiede di vederlo, non vedo folle attratte dall’Innalzato. E, forse, è perché non sanno a chi chiedere. Non trovano cristiani capaci di indicare la croce, non trovano persone capaci di far sentire la forza attrattiva e divina dell’amore. Eppure bisogna credere, bisogna fidarsi di queste parole: sarà lui ad attrarre a sé ognuno, è sulla croce che ogni cosa è compiuta e il giudizio del mondo si è consumato. E su quella croce sono giudicato anche io. È giudicato il mio male e la mia morte, è condannato il mio cuore di pietra, è frantumato ogni mio egoismo. Dalla croce nasce, come stelo di grano dalla nuda terra, un cuore nuovo su cui è incisa col sangue la nuova alleanza. È Dio a porre in noi la sua parola, a scriverla sul nostro cuore perché egli ha scelto di essere il nostro Dio e solo lui può renderci suoi. Non c’è Dio se non Crocifisso, non c’è amore se non nel perdono, non c’è futuro se non nella disponibilità a seguirlo donando la vita, perché solo così la vita è conservata per sempre. 

Ecco, verranno giorni – oracolo del Signore -, nei quali con la casa d’Israele e con la casa di Giuda concluderò un’alleanza nuova. Non sarà come l’alleanza che ho concluso con i loro padri, quando li presi per mano per farli uscire dalla terra d’Egitto, alleanza che essi hanno infranto, benché io fossi loro Signore. Oracolo del Signore. 

Questa sarà l’alleanza che concluderò con la casa d’Israele dopo quei giorni – oracolo del Signore -: porrò la mia legge dentro di loro, la scriverò sul loro cuore. Allora io sarò il loro Dio ed essi saranno il mio popolo. Non dovranno più istruirsi l’un l’altro, dicendo: «Conoscete il Signore», perché tutti mi conosceranno, dal più piccolo al più grande – oracolo del Signore -, poiché io perdonerò la loro iniquità e non ricorderò più il loro peccato (Ger 31,31-34)

Liturgia della Parola

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