Pasqua è credere che l’amore è possibile

II Domenica di Pasqua o della Divina Misericordia B (At 4,32-35; 1Gv 5,1-6; Gv 20,19-31)

La Pasqua è vita che irrompe nella nostra storia, è amore che dilaga e non ammette confini, è gioia che invade il cuore, è pace che riveste ogni cosa, è perdono che rende fratelli. Il giorno di Pasqua è un’alba che non conosce tramonto e illumina, della sua luce, ogni altro giorno. 

La moltitudine di coloro che erano diventati credenti aveva un cuore solo e un’anima sola e nessuno considerava sua proprietà quello che gli apparteneva, ma fra loro tutto era comune. Con grande forza gli apostoli davano testimonianza della risurrezione del Signore Gesù e tutti godevano di grande favore (At 4,32-33)

È la Pasqua a renderci Chiesa, comunità di fratelli e sorelle che credono nel Crocifisso risorto e, solo per questo, hanno un cuore solo e un’anima sola e tutto hanno tra loro in comune. 

E se guardiamo oggi alla Chiesa, alle nostre comunità e famiglie, sperimentiamo divisione e contrasti, litigi e maldicenze, chiacchiere e accuse. E il dubbio è che la fede sia sempre più poca, che sia venuta meno la certezza della risurrezione. Tanti sono i motivi per cui la Chiesa è in crisi, il Vangelo non sembra apprezzato e la fede non riceve consensi. Eppure, primo tra tutti i motivi è che non abbiamo più forza per dare testimonianza alla risurrezione. 

Non siamo più il segno nuovo di un’alternativa possibile, non siamo più comunità che è presenza e riflesso nel mondo di un amore che ci è stato donato, di una vita che è ricevuta, di un perdono che non è meritato. Manca la fiducia, l’affidamento e la comprensione, manca il perdono e la discrezione, manca la delicatezza e la gentilezza, manca, in una parola, l’amore. E l’unità viene meno e ogni credente ha un cuore e un’anima che si oppongono agli altri, divisi su tutto e su ogni cosa, pronti ad accusarci l’un l’altro. Ed è proprio questo a non renderci testimoni credibili, a farci restare muti e inespressivi. La nostra vita cessa di dire Dio, la nostra fede è muta e vana, non suscita domande e riflessioni. Nessuno a chiederci: da dove proviene questo tuo amore? In cosa ha origine questo perdono? Da dove trae forza la tua gentilezza? In cosa risiede questa pazienza? Perché tu dunque ti ostini ad amare, a servire e a perdonare? Soltanto perché credo in Cristo!

Carissimi, chiunque crede che Gesù è il Cristo, è stato generato da Dio; e chi ama colui che ha generato, ama anche chi da lui è stato generato.
In questo conosciamo di amare i figli di Dio: quando amiamo Dio e osserviamo i suoi comandamenti. In questo infatti consiste l’amore di Dio, nell’osservare i suoi comandamenti; e i suoi comandamenti non sono gravosi.
Chiunque è stato generato da Dio vince il mondo; e questa è la vittoria che ha vinto il mondo: la nostra fede.
E chi è che vince il mondo se non chi crede che Gesù è il Figlio di Dio? Egli è colui che è venuto con acqua e sangue, Gesù Cristo; non con l’acqua soltanto, ma con l’acqua e con il sangue. Ed è lo Spirito che dà testimonianza, perché lo Spirito è la verità
(1Gv 5,1-6)

Giovanni, in poche righe, traccia il volto del cristiano. Lo fa con il suo stile e con la pregnanza di parole che chiedono di essere rilette e ascoltate. Credere che quel Gesù, umiliato e offeso, crocifisso e risorto, è il Cristo è il cuore di tutta la fede. Credere in lui ci dona la grazia di essere generati da Dio. È Dio, in virtù della fede, a generarci rendendoci figli. Credere nel Figlio è accogliere la paternità di Dio che ci rigenera a vita nuova. E solo chi è generato da Dio può anche amare. Chi ama il Padre deve amare i suoi figli. Ogni credente, quindi, diventa per me fratello, uomo e donna da amare, da accogliere come dono che il Padre mi ha fatto. 

Credere in Gesù permette di essere generati da Dio, avere Dio come Padre rende possibile a noi l’amore per i fratelli, generati dall’unico Padre. Amare i figli di Dio, però, non è sentimento o pura intenzione. Amare i figli di Dio è possibile solo amando Dio e osservando i suoi comandamenti. È falso e pretestuoso contrapporre Dio ai fratelli, l’amore per lui all’amore per gli altri. L’amore per Dio è la sorgente e la prova dell’amore per gli altri. E l’amore si fa concreto e reale nell’osservanza dei comandamenti.

Eppure, a volte, ci pesa l’amore, ci pesa la Parola che Dio ci consegna, ci pesa prendere sul serio ciò che egli ci comanda. Dimentichiamo, allora, che egli, che ci ha generato, ci rende capaci di vincere il mondo, il male che è in noi e attorno a noi, quell’opaca resistenza al bene, quella sottile indulgenza al male, quel fascino segreto e silente che ci spinge ad odiare gli altri, a volere e a fare il male. La fede può vincere il mondo e il male perché siamo stati generati da Dio e abbiamo la forza, debole e onnipotente, dell’amore.

È la vittoria pasquale, vittoria della fede e dell’amore, della paternità e della figliolanza, vittoria della fraternità. È questa la vittoria di cui partecipiamo celebrando la Pasqua. La fede ci fa scoprire che la fraternità può ancora vincere su ogni altra cosa se continuiamo a credere in Cristo, se ci lasciamo rigenerare dal Padre nella morte del Figlio che egli ha mandato. Vincere il mondo è tracciare segni di fraternità, è vivere da figli, è accogliere i doni del Padre, è sperimentare e diffondere l’amore che rende fratelli. È questa la vittoria possibile. Ed è possibile a tutti coloro che credono che Gesù è venuto con l’acqua e il sangue, non con l’acqua soltanto. Gesù, quindi, è venuto con l’acqua del suo battesimo al Giordano a mostrare e insegnare la via di Dio, ma è venuto poi con il sangue, cioè con il dono della sua vita, con quella morte che sa di offerta, di dono che è condiviso. E l’acqua e il sangue richiamano anche i doni preziosi che il Risorto ha affidato ai credenti, il Battesimo e l’Eucaristia.

È lo Spirito in noi a ricordarci che questa grazia ci spinge e ci porta al Cristo, ci fa sentire la sua presenza, ci fa provare tutto il suo amore, ci fa vivere della sua stessa vita. Credere a Pasqua è credere ad un mondo nuovo, in cui il male ne esce sconfitto, l’odio è superato, la vendetta è disarmata, perché tutto parla e dice soltanto amore, tutti sono solo fratelli. Pasqua è una fede che si fa amore, che si fa attesa e costruzione di un nuovo modo di stare al mondo, di relazioni finalmente sanate. Ma credere non è sempre facile!

La sera di quel giorno, il primo della settimana, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, stette in mezzo e disse loro: «Pace a voi!». Detto questo, mostrò loro le mani e il fianco. E i discepoli gioirono al vedere il Signore.
Gesù disse loro di nuovo: «Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi». Detto questo, soffiò e disse loro: «Ricevete lo Spirito Santo. A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati»
(Gv 20,19-23)

La paura chiude le porte. Gesù, però, viene proprio nelle nostre paure, si mette in mezzo alle nostre ansie e ci dona la pace che non conosciamo. È dalle ferite che lo possiamo vedere, è dai segni dei chiodi che si fa riconoscere. Perché è amore la sua identità, dono e perdono il suo volto più vero. La risurrezione non cancella le piaghe ma le rende più vere e profonde, le rende autentiche e vie di vita. I discepoli gioiscono al vedere il Signore ed egli dona loro il suo Spirito perché siano capaci di andare nel mondo per essere lui in mezzo agli altri. Il Padre ha mandato il Figlio e ora egli li manda perché continuino la sua missione, facciano vedere ciò che egli ha compiuto, sappiano dire ciò che egli ha donato. Il Risorto dona la pace e con essa il perdono. Perdono di Dio e dei fratelli, vita redenta e riconciliata. 

Tommaso, uno dei Dodici, chiamato Dìdimo, non era con loro quando venne Gesù. Gli dicevano gli altri discepoli: «Abbiamo visto il Signore!». Ma egli disse loro: «Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il mio dito nel segno dei chiodi e non metto la mia mano nel suo fianco, io non credo» (Gv 20,24-25)

Ma quel giorno, a Gerusalemme, non c’erano tutti. Tommaso era assente. Aveva abbandonato il suo posto, era fuori dalla comunità. Non si può incontrare il Risorto restando fuori. Ci sembra assurdo, eppure il Risorto si fa vedere solo a chi sa vivere la comunione, a chi non si esilia e non si distanzia, a chi resta insieme agli altri. La Risurrezione è evento ecclesiale perché è nella Chiesa che egli si mostra. 

Tommaso, però, all’annuncio degli altri non crede. E non sappiamo se questa mancanza di fede sia dovuta alla diffidenza di Tommaso o alla mancanza di credibilità degli altri. Essi dicono: “Abbiamo visto il Signore”. Tommaso, invece, vuole vedere e toccare le piaghe, vuole essere certo che il Risorto sia il Crocifisso. La fede, per Tommaso, è possibile solo nel segno del dolore e della morte, perché solo le ferite rendono credibile l’amore. 

Credere, per Tommaso, è vedere e toccare le piaghe di un Dio che ha amato in modo folle, fino alla fine, con tutto se stesso. Credere è scoprire che l’amore non è mai vano, non è destinato a finire. Credere è vedere che l’amore è più forte, più vivo persino oltre la morte.

Otto giorni dopo i discepoli erano di nuovo in casa e c’era con loro anche Tommaso. Venne Gesù, a porte chiuse, stette in mezzo e disse: «Pace a voi!». Poi disse a Tommaso: «Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani; tendi la tua mano e mettila nel mio fianco; e non essere incredulo, ma credente!». Gli rispose Tommaso: «Mio Signore e mio Dio!». Gesù gli disse: «Perché mi hai veduto, tu hai creduto; beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!».
Gesù, in presenza dei suoi discepoli, fece molti altri segni che non sono stati scritti in questo libro. Ma questi sono stati scritti perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio, e perché, credendo, abbiate la vita nel suo nome
(Gv 20,26-31)

E otto giorni dopo, a segnare una Pasqua che non è mai esausta, Gesù riappare e Tommaso è lì. Ed è a lui che si rivolge: guarda e tocca, senti tutte le mie ferite, senti il fondo di tutto l’amore, senti la morte che ha attraversato la vita, senti la vita che ha vinto la morte, senti un Dio che non si è risparmiato, un Dio che è Passione che non viene meno. Tendi alla fede tendendo all’amore, impara ad essere un po’ più credente imparando ad amare ricevendo amore. 

E Tommaso esclama con tutto se stesso: Mio Signore e mio Dio! E la fede di Tommaso rende possibile anche la nostra. A noi, che non vediamo l’amore vincere, il perdono avere la meglio, la vita avanzare sulla morte, proprio a noi Gesù dice: Beati! Beati se sappiamo credere mentre il mondo è in guerra e in fiamme, se sappiamo amare mentre tutto ci spinge all’odio, se sappiamo servire mentre ognuno si fa padrone, se sappiamo perdonare quando ognuno invoca vendetta. Beati noi se, mentre non vediamo, sappiamo credere e credendo amare. Beati noi perché sapremo essere annuncio e riflesso di un Dio che, ferito d’amore, continua a farsi vedere, risorto e vivo, nelle nostre ferite d’amore.

Ci capita ancora, Signore,
di tenere chiuse le porte,
abbiamo paura 
degli altri e un po’ anche di te.
Ci piace saperti morto e risorto,
ma c’inquieta saperti vicino, 
sapere che vieni a darci pace,
non quella del quieto vivere,
ma quella che nasce dalla passione,
quella che sorge
dalle ferite d’amore.

Quando sono chiuse le porte
e la paura ci ricorda 
che l’amore ha fallito,
vieni in mezzo a noi,
al centro 
del nostro essere amici,
del nostro sentirci fratelli.
Fermati in mezzo a noi 
mostraci le mani e il costato,
mostra l’amore che ci ha generati,
il dono che ci ha resi fratelli,
la morte che ci ha resi famiglia.

Tu che hai le chiavi 
degli inferi e della morte,
riapri i nostri sepolcri,
le nostre porte sbarrate,
i nostri recinti sicuri.
Rendici risorti con te
e mandaci fuori 
per mostrare 
che tu sei il Vivente 
e vivi per sempre.
Come il Padre ha mandato te,
per essere dono d’amore,
che penetra nell’odio del mondo,
manda ora anche noi
perché mostriamo 
con la nostra vita
l’amore che, ferito, non muore,
la passione di dono che non si risparmia,
la comunione di vita che rende eterna la storia.

Eppure quel giorno era assente Tommaso,
era fuori, era solo.
Manca l’incontro con te 
perché 
manca l’incontro con gli altri.
Quando ci illudiamo di fare da soli
e pensiamo che la fede sia solo affar nostro,
ricordaci che non possiamo incontrarti da soli.
Ricordaci che credere è amare
e ti riveli nel mezzo 
per creare e fare famiglia.

E ricordaci 
che ai Tommaso di sempre
non bastano parole e proclami:
l’amore bisogna toccarlo,
bisogna toccare ferite che danno la vita.
Si crede quando, toccando il dolore e la morte,
si scopre che l’amore non muore.

E allora donaci coraggio per vedere
che tu, Crocifisso Risorto, ci mostri le piaghe,
che i credenti mostrano piaghe,
le tue e le loro,
perché solo l’amore fino al dolore e alla morte
è amore che genera e salva.

E allora rendici Chiesa in cui tutti si sappiano amati,
in cui l’amore si sappia anche ferito e piagato,
ma sappia attraversare ogni varco,
perché solo vivendo e toccando l’Amore 
ciascuno potrà, con Tommaso,  
dire ancora con tutta la vita
“Mio Signore e mio Dio”.

Liturgia della Parola

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