Abramo, il dittico del buio

Il testo ci dice che Dio condusse fuori Abram. E allora possiamo dedurre che Abram fosse nella tenda, in quella dimora instabile e precaria dove l’invito di Dio lo ha collocato. Abram è pellegrino e per il pellegrino la tenda è ristoro e salvezza, rifugio e casa, sicurezza e pace. Eppure Dio fa uscire Abram fuori, anzi lo conduce fuori lui stesso, e scopriamo che era notte. Ci sono state e ci saranno ancora tante uscite, tanti esodi e Abram esce dal confine certo della tenda, dal perimetro delle sue sicurezze e dei suoi calcoli umani per esporsi al buio della notte che è poi anche il buio del suo cuore e della sua speranza. Abram vive qui la notte del tormento, la notte prima di tante altre notti, la notte prima delle nostre notti. Ci sono state tante notti e tante ce ne saranno, tutte diverse tra loro e tutte accomunate dal segno che le contraddistingue: il buio. Abram deve uscire allo scoperto, sfidare i pericoli della notte e dello spazio aperto, deve vivere il buio e guardarlo in faccia. 

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Tra prova e tentazione

Che Dio è quello che mette alla prova? Perché lo fa? […] Quella che emerge non è forse l’immagine di un Dio dispotico, di un Dio capriccioso, come quello che per vantarsi davanti a Satana lascia che Giobbe sia colpito e messo alla prova (Gb 1,6-12)? Le questioni che si aprono sono molteplici e difficili e mettono in gioco aspetti centrali della fede e della teologia, ancor più che viviamo in un tempo in cui la dimensione della prova e della tentazione rischiano di confondersi o, peggio, rischia di perdersi la consapevolezza della loro ricchezza e necessità per un autentico cammino di fede e di vita.

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