Salire sui monti

La seconda domenica di Quaresima ci spinge a salire su tre monti diversi, tre luoghi alti che rifanno la storia. Dal deserto dell’inizio ai monti del compimento, perché già ora ci è dato di vivere ad altezze che non speravamo. Il Mòria, il Tabor e il Calvario, tre alture in cui si concentra il mistero, si dice l’amore, si compie la fede e Dio si dona.

Ed è su queste alture che dobbiamo sostare se vogliamo vedere la vita trasfigurata e cogliere, nella notte e nel buio, i primi barlumi di una luce risorta.
Le acque del diluvio diventano quelle del Battesimo, la polvere del deserto diventa l’aridità e la prova che ogni credente è chiamato ad affrontare, perché fare Quaresima è riscoprire che la vita risorge possibile perché Gesù ha attraversato per noi i confini del male e della morte. Ed è da questa sua scelta che sorge per noi il nuovo arcobaleno di grazia, che unisce la terra al cielo, che riannoda legami spezzati. Non più un arco di guerra appeso alle nubi, ma uno strumento di morte, la croce, che, ancorato alla terra, ci proietta e ci innalza oltre le nostre morti, per farci sentire l’annuncio insperato e inatteso: al vangelo possiamo credere. E non c’è notizia più lieta.

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Abramo, il dittico del buio

Il testo ci dice che Dio condusse fuori Abram. E allora possiamo dedurre che Abram fosse nella tenda, in quella dimora instabile e precaria dove l’invito di Dio lo ha collocato. Abram è pellegrino e per il pellegrino la tenda è ristoro e salvezza, rifugio e casa, sicurezza e pace. Eppure Dio fa uscire Abram fuori, anzi lo conduce fuori lui stesso, e scopriamo che era notte. Ci sono state e ci saranno ancora tante uscite, tanti esodi e Abram esce dal confine certo della tenda, dal perimetro delle sue sicurezze e dei suoi calcoli umani per esporsi al buio della notte che è poi anche il buio del suo cuore e della sua speranza. Abram vive qui la notte del tormento, la notte prima di tante altre notti, la notte prima delle nostre notti. Ci sono state tante notti e tante ce ne saranno, tutte diverse tra loro e tutte accomunate dal segno che le contraddistingue: il buio. Abram deve uscire allo scoperto, sfidare i pericoli della notte e dello spazio aperto, deve vivere il buio e guardarlo in faccia. 

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Tra prova e tentazione

Che Dio è quello che mette alla prova? Perché lo fa? […] Quella che emerge non è forse l’immagine di un Dio dispotico, di un Dio capriccioso, come quello che per vantarsi davanti a Satana lascia che Giobbe sia colpito e messo alla prova (Gb 1,6-12)? Le questioni che si aprono sono molteplici e difficili e mettono in gioco aspetti centrali della fede e della teologia, ancor più che viviamo in un tempo in cui la dimensione della prova e della tentazione rischiano di confondersi o, peggio, rischia di perdersi la consapevolezza della loro ricchezza e necessità per un autentico cammino di fede e di vita.

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