Credere ad un Dio dei volti

La parola “Dio” può dire ancora molto ma il rischio è confondere Dio con i concetti che abbiamo. Possiamo immaginarlo come il sovrano potente che tutto dispone e organizza, come l’energia che muove le cose, come l’insieme di quello che esiste, come la parte migliore di noi. E forse il rischio è che ciascuno abbia e si faccia il suo Dio. Dedicare una festa alla Trinità ci chiede di ritornare a questo cuore pulsante e vitale del nostro credere.  Ci siamo smarriti per strada. Abbiamo manomesso il cuore del nostro messaggio e abbiamo offerto un Dio che fosse a misura umana. 

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La Pasqua non è conclusa

Per cinquanta giorni abbiamo celebrato la Pasqua. Abbiamo raccolto i frutti di questa storia, lasciando che la vita del Cristo risorto smuovesse le morti che ci portiamo dentro, aprisse i sepolcri che teniamo chiusi, ridestasse il coraggio e la voglia di amare. Si conclude il tempo pasquale, ma non si conclude la Pasqua, non si chiude e rinserra la storia nuova che, da quel giorno, ha investito la vita del mondo. La Pentecoste, infatti, più che chiudere il periodo pasquale, compie e rende perenne il tempo nuovo della Pasqua di Cristo. 

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La Pasqua si fa feriale

L’Ascensione di Gesù al “cielo” ci mette alla prova. Sarebbe facile incontrare il Risorto che cammina nelle nostre strade, ma non è questo che ci è stato donato. Sarebbe bello tenere lo sguardo orientato al cielo, restare lì, in attesa che qualcosa avvenga, ma non è al cielo che dobbiamo guardare. Il nostro sguardo è incastrato in questa terra, è orientato a questo mondo, è fissato su questa storia. 

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Amare è vedere Dio

Questo non è il tempo dell’assenza. Il Risorto è vivo e noi lo vediamo perché amare è vedere Dio. È il tempo della testimonianza pasquale, in cui dare ragione, amando, della speranza che è in noi. Amare è da Dio, per questo il Figlio ha promesso a noi il Paràclito, perché ci resti accanto per sostenere il cammino, per renderci capaci di vivere fedeli alla speranza che ci è stata donata, fedeli all’amore che è Dio.

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Erranti come pecore

È difficile parlare di pecore e di pastore, di recinti e di porta. Siamo convinti che ciascuno basti a se stesso e sappia già dove andare. Non sentiamo il bisogno di stare insieme, di essere gregge che si ritrova. E poi ci ritroviamo a leccarci le ferite, rinchiusi nelle verità che abbiamo elevato a torri di difesa e di attacco. Siamo incapaci di riconoscerci e saperci vicini.È il primo giorno della settimana, il giorno primo del mondo perché è l’inizio di un mondo nuovo. Ma le porte sono chiuse perché è forte il timore degli avversari, l’insidia di chi è là fuori. Hanno paura di fare una brutta fine, di seguire davvero il Maestro di cui ancora sono chiamati discepoli. Ma ora non c’è più nulla da fare, nessuno più da seguire.

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Per strada ci siamo anche noi

L’avventura dei due discepoli di Emmaus è quella nostra. Anche noi siamo spesso in cammino, senza speranza e con poca fede. Delusi e amareggiati, impegnati in tante discussioni che ci fanno perdere fiato e rendono il cammino sempre più incerto e insicuro. Eppure, mentre abbiamo deciso di voltare le spalle all’unico luogo che può darci speranza, proprio allora possiamo sentire che, in questo cammino di disperati, di gente delusa e disillusa, non siamo soli.
È il primo giorno della settimana, il giorno primo del mondo perché è l’inizio di un mondo nuovo. Ma le porte sono chiuse perché è forte il timore degli avversari, l’insidia di chi è là fuori. Hanno paura di fare una brutta fine, di seguire davvero il Maestro di cui ancora sono chiamati discepoli. Ma ora non c’è più nulla da fare, nessuno più da seguire.

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Porte chiuse e ferite aperte

Era la sera di quel giorno strano, in cui la morte suscita angosce e gli eventi del mattino sollevano domande, ma i discepoli sono ancora insieme. A tenerli uniti non è la voce del loro Maestro, ma la paura che rinserra i cuori, che pone un freno alla speranza, che argina l’onda di ogni emozione. 

È il primo giorno della settimana, il giorno primo del mondo perché è l’inizio di un mondo nuovo. Ma le porte sono chiuse perché è forte il timore degli avversari, l’insidia di chi è là fuori. Hanno paura di fare una brutta fine, di seguire davvero il Maestro di cui ancora sono chiamati discepoli. Ma ora non c’è più nulla da fare, nessuno più da seguire.

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Dio cerca casa e dimora

Siamo condotti al cuore del nostro credere e al centro del nostro tempo, al senso più vero di ciò che viviamo. Perché credere è dare a Dio nuova carne, farlo entrare ancora in questo mondo perché sia presenza viva e luminosa. Non c’è bisogno di salire al cielo, di solcare distanze e sfidare altezze, c’è semmai urgenza di accogliere qui in basso ciò che dall’alto ci è stato donato, di accettare che venga un Dio ad abitare oggi la nostra storia. C’è bisogno di rendere viva, nelle vicende di questo tempo, la memoria e la presenza di quelle parole che ci hanno svelato il suo volto di Padre.

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Solo l’Amore rinnova il mondo

L’esordio di questo brano non è dei migliori. Siamo nel contesto dell’Ultima Cena, della notte più buia del tradimento, della notte che delude ogni attesa, che smaschera le voglie segrete, che mette in vista ciò che si è tentato di tenere nascosto. È notte ed è buio quando Giuda esce dal cenacolo. Ed esce per compiere il tradimento, per realizzare la consegna dell’amico, di colui che si è piegato a lavare i suoi piedi. Ed è quella notte buia l’ora in cui il Figlio è glorificato. È il paradosso pasquale. L’ora della gloria coincide con l’ora del più buio abbandono, del tradimento e della consegna. Il Figlio è glorificato dal Padre e il Padre è glorificato nel figlio. E questa è una gloria strana, che abita nella notte più buia, che si realizza nel tormento più forte, che si compie quando il tradimento è compiuto. 

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Avere l’Agnello per pastore

Viviamo giorni in cui le tante parole dicono poco e i passi si fanno più incerti ed erranti. Ci sono voci che si levano forti, per far sentire che hanno ragione, ci sono passi che calpestano terra e frammentano vite per far sapere che hanno la mano forte, pugno che stringe bene, che colpisce e bagna i volti di lacrime. E non si tratta solo di guerre e conflitti. Avviene così anche nelle vite ordinarie, nei nostri rapporti e situazioni. E forse è sempre stato così.

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