La Quaresima tempo inopportuno

I quaranta giorni della Quaresima arrivano puntuali, nel calendario, quando il freddo e buio inverno è indeciso se cedere il passo ad una luce più calda e accogliente. È una situazione di compromesso. 

La Quaresima ripropone, su un altro piano, questa stessa ambivalenza. È tempo incerto, sospeso e in equilibrio tra la consapevolezza di ciò che non va, di ciò che è peccato, di ciò che ci fa arenare nei nostri deserti e la certezza che la vita ha già vinto, che la morte è sconfitta, che il peccato è lasciato alle spalle.

I ritmi, le parole e le pratiche di questo tempo sono densi di questa ambivalenza, di questa mano che trattiene le tenebre mentre già saluta la luce, che si ferma a guardare il male compiuto mentre è certa del perdono che sta per ricevere.

Le circostanze, in cui inizia questa Quaresima, sono difficili e piene di ombre. A fatica usciamo da un lungo inverno di malattia e sofferenza, di incertezze e di solitudine, di morte e difficoltà. E ad attenderci non c’è un’alba radiosa. C’è il tumulto di popoli in guerra, di nodi che vengono al pettine, di deliri che generano mostri, di armi che invadono il mondo. 

C’è, in tutto questo, un fondo di desolante e tardiva certezza che si fa anch’essa annuncio in questo tempo quaresimale. Per anni e decenni si è fatto finta di non vedere, si è cercato di non sapere. Ci siamo illusi di essere alle soglie di una nuova era. Ci siamo immaginati superiori, adulti, capaci di bastare a noi stessi, capaci di prendere in mano le redini della storia e del mondo. Ci siamo persuasi “delle magnifiche sorti progressive”. E ora la realtà ci sbatte in faccia la verità.

Non possiamo più far finta di nulla. Al di là delle situazioni concrete, ci tocca riconoscere che siamo sempre scesi a patti con ciò che è malvagio, che abbiamo fatto affari con ciò che non è bene, che abbiamo speculato con ciò che è violenza, che abbiamo commerciato con realtà disumane. La guerra, che respiriamo e sentiamo nell’aria, nasce da molto vicino, perché ha in noi le sue radici. E vanno bene le ferme condanne e le prese di posizione. Ma poi occorre sedersi nel proprio deserto e scoprire come ci siamo arrivati. 

Non nasce la pace dove si fanno affari calpestando i diritti, dove si acquista ignorando il sangue versato, dove si vende facendo finta di non sapere chi siano gli acquirenti. Siamo scesi a compromessi con tutti i mali, pensavamo di essere furbi, di sapercela sempre cavare, di riuscire a gestire ogni occasione. Ci siamo immaginati imbattibili, fiduciosi nelle nostre certezze, costruttori di un mondo nuovo.

Le guerre e la pandemia hanno sollevato il velo e ora vediamo che l’uomo è rimasto quello di sempre, semmai è più acuto e tenace il male che riusciamo a diffondere ed è più difficile mettersi al sicuro e al riparo. Non siamo migliorati.

La realtà che viviamo ci costringe a prendere sul serio questo tempo. Il deserto di ogni Quaresima ci costringe lì dove tutto diventa essenziale e non ci sono appigli per appoggiare le scelte, per giustificare le nostre miserie. Il deserto è luogo di spoliazione, è tempo di purificazione, è occasione di prova e di verifica. È il tempo che ci serve per non continuare a farci del male. 

La Quaresima, però, resta anche un tempo difficile, al quale siamo diventati intolleranti. Non è un caso che ogni anno arrivino puntuali quelli che ci invitano a non prenderla troppo sul serio, a non credere davvero a questo passaggio attraverso il nudo deserto, a saltare subito alla conclusione. Ci spiegano che a nulla serve la penitenza, ancor meno il digiuno, e la preghiera è giusta se serve a ripiegarmi su me stesso e a ricordarmi che non ho bisogno di nessuno. Almeno è apprezzabile che tentino di salvare l’elemosina… 

In fin dei conti, ci dispiace che sia Quaresima, che la Chiesa con le parole, i riti e i suoi gesti ci ricordi ciò che a noi fa problema, ci conduca a ciò che tentiamo disperatamente di evitare.

L’inizio della Quaresima ci impone le ceneri e, per quanto ci suoni brutto e disturbante, ci ricorda che siamo polvere. Quest’anno a dirci che siamo polvere e che rischiamo di polverizzare tutto non sarà solo la Chiesa. La verità ci è imposta da ogni parte e in ogni luogo: “Ricordati, uomo, che polvere tu sei!”. E dobbiamo ricordarlo! Ci ribelliamo al nostro essere fragili, al nostro essere nulla, al nostro essere fango. E preferiamo pensare di essere tutto e rifiutiamo l’unico che sa prendere in mano il fango che siamo e trarne fuori la sua più bella opera.

La Quaresima è un tempo scomodo. Un tempo indifendibile. Perché spiazza e confonde i nostri discorsi, rompe le nostre strutture, insidia le nostre certezze. La Quaresima mi grida in faccia che io non sono compiuto, non sono a posto, non sono ok, non sono all’altezza, non sono buono, non sono pronto, non sono arrivato. E tutto questo è bestemmia per il nostro tempo. È l’unica bestemmia che oggi non è lecito proferire. 

La Quaresima, però, si piazza ogni anno davanti, a ricordarci che nessuno basta a se stesso, che siamo incompiuti, che siamo sempre a metà strada tra angelo e bestia. La Quaresima è deserto dove la vita si gioca a partire dalla morte, dal coraggio di prenderla e farla propria, di riconoscerla come il luogo più nostro. Nel deserto la vita non ci appartiene, è morte che viene differita, è salvezza che viene accordata, è nutrimento che bisogna aspettare, è acqua che sgorga inattesa.

La Quaresima mi ricorda che sono fragile, che non posso vincere il male che mi porto dentro e non riesco a neutralizzare il male che mi viene incontro. Quaresima è scoprire che, nonostante tutte le mie certezze, io sono solo un debole peccatore e non posso pretendere di vivere ad altezze divine. Resto sempre un uomo incompiuto, un uomo segnato e ferito dal male al quale non posso e non riesco a sottrarmi. 

Per questo la Quaresima ridimensiona il mio orizzonte, mi fa abbassare lo sguardo, mi impegna a fare i conti con la mia morte e le mie morti. La Quaresima è la negazione di tutte le guerre perché mi fa scoprire che non ho diritti da vantare, privilegi da difendere, beni da possedere, dignità da salvaguardare. La Quaresima mi restituisce il mio essere polvere che è sempre in attesa di una mano divina che la prenda e le dia nuova forma.

La Quaresima, con la preghiera, il digiuno e l’elemosina, è preparazione di uno spazio vuoto, è apertura di un varco, è far pace con il proprio non essere in pace. È un cammino nel deserto in cui osservare le macerie e i detriti, i danni collaterali e ciò che non abbiamo salvato. È camminare nel nostro mondo interiore con gli occhi aperti a scrutare le ferite che il male ci ha procurato e a sentire le urla di male che ancora ci gridano dentro. È scavare al di sotto delle nostre macerie, dei nostri rifiuti, dei nostri peccati e ritrovare Dio che ha sete della nostra sete, che vuole diventare in noi sorgente di vita nuova. E serve il deserto per scoprire che molte cose possono essere lasciate, molte parole taciute, molti beni donati, molto silenzio abitato.

Vivere la Quaresima è lasciare che la presunzione, la fame e l’orgoglio umano facciano un passo indietro. È tempo in cui chiedere aiuto, in cui scoprire che nulla ci può saziare, che gli altri non sono nemici ma hanno la stessa mia fame.

Ci serve la preghiera, che ci ricorda che abbiamo un Padre al quale rivolgerci e dal quale accogliere parole d’amore. Ci serve il digiuno per amare noi stessi e rivendicare la libertà da tutto ciò da cui facciamo dipendere la nostra vita. Ci serve l’elemosina per amare i fratelli in maniera vera e concreta. Preghiera, digiuno ed elemosina, quindi, non sono vecchie pratiche da abbandonare, ma segni che ci permettono di rendere vero e verificare il nostro amore, di riconoscerlo e farlo crescere. L’amore per Dio è detto nella preghiera, l’amore per sé e la propria libertà è detto nel digiuno e l’amore per i fratelli è detto nell’elemosina.

Certo, c’è sempre il rischio di rendere tutto facciata e ipocrisia, e Gesù stesso lo denuncia. Bisogna guardarsi dal rischio di fare della Quaresima un tempo di esaltazione, in cui con le mie pratiche, i miei digiuni e le preghiere penso di affermarmi con la mia volontà, penso di salvarmi con il mio impegno. Ciò che è segno e rimando, segnale e invocazione può, infatti, diventare affermazione della mia forza, delirio di onnipotenza, soddisfazione delle mie pretese. No, non ci salviamo per le preghiere e le elemosine, il digiuno non è un passaporto che ci fa entrare in banchetti nuziali.

Ma non possiamo rinunciare a questi segni, concreti e tangibili. Non possiamo rendere tutto intellettuale per poi restare piegati su noi stessi. Non possiamo far diventare Dio il nome che diamo alla nostra autocoscienza, alla nostra consapevolezza che ci dice che siamo a posto, che non abbiamo nulla da cercare, non abbiamo nulla da emendare. 

La Quaresima è tempo di conversione. È periodo in cui misuriamo la nostra distanza da Colui che ci vuole a sua immagine, in cui percepiamo le rughe e le brutture che rendono il suo volto non più riconoscibile sul nostro. Non è però tempo di piangerci addosso, di restare chiusi nel nostro rimorso, di restare oppressi dal nostro egoistico senso di colpa. 

La Quaresima è riconoscere, con umiltà, che non abbiamo le forze per colmare la distanza, che non conosciamo la via per accorciare la strada, che non conosciamo bene i suoi tratti per ridisegnare il nostro volto. 

È il tempo della conversione e devo vedere che non sono lì dove dovrei essere, non sono come dovrei. Convertirsi, infatti, è cambiare strada, è ritornare indietro. Perché il peccato è sempre andare lontano, inventare strade alternative, fuggire per sentirci padroni e mostrare che non abbiamo bisogno di niente e di nessuno. Peccare è non accettare di essere figli, non riconoscere di avere un Padre, non guardare in faccia i fratelli. 

Il peccato è restare sempre un po’ adolescenti, con la smania di essere liberi mentre ci affanniamo per essere schiavi. Siamo ancora adolescenti, vogliamo vivere lontano dal Padre e, da sprovveduti, immaginiamo di affrontare a viso aperto la vita. Abbiamo, come ogni adolescente, la pretesa di insegnare a Dio il suo mestiere, di dichiarare inutili le sue parole, di considerare arretrati i suoi comandi. E continuiamo ad andare lontano.

La Quaresima ci fa riconoscere che non siamo più adolescenti! Che ogni fuga lontano dal Padre non ci dona la libertà, ma ci fa cadere nelle più cruente schiavitù, non è voglia di autonomia, ma delirio di onnipotenza, non è rifiuto di sottomissione, ma mancanza di responsabilità, non è coraggio di farsi da soli, ma incapacità di essere figli. 

Se restare a casa e riconoscerti figlio ti fa sentire come un adolescente in gabbia, non è colpa di Dio, né del Vangelo o della Chiesa. E non risolvi il problema con la ribellione o andando lontano. Devi solo fermarti un po’ nel deserto, toglierti tutte le maschere e far pace con le tue debolezze. Hai ancora e sempre bisogno di un Padre, che ti ami nonostante te stesso, che ti apprezzi per quello che sei, che si impegni con te per renderti nuovo e simile al Figlio. 

Conversione è ritornare a casa. È sapere che abbiamo bisogno di essere figli e restare fratelli. È riconoscere che non possiamo vivere altrove. A casa ci attende un Padre, a casa ci sono i fratelli, a casa risplende l’amore. 

Ritornare a Dio è ritornare alla vita, è lasciar perdere le nostre avventure e sbandate da adolescenti, per scoprire che non c’è altro modo per restare liberi, per essere adulti ed essere uomini.

Dobbiamo tornare indietro per scoprire che il volto di Dio non è come quello che pensavamo, non è come quello che da adolescenti impenitenti ci siamo immaginati. Dio è solo Padre che attende e che ama.

È dal suo cuore paterno che nasce la conversione, quel bisogno di ritornare a lui lasciando perdere i nostri insensati sogni di gloria. Non c’è altro modo per fare la pace.

Quaresima è accostarci a colui che si è preso carico delle nostre fatiche, ha fatto sue le nostre sconfitte, ha abbracciato le nostre morti, ha condiviso il nostro esilio. E proprio allora, quando ci saremo convinti che nessuno potrà salvarci, proprio allora potremo vedere che solo un Dio può ancora salvarci. E lo troveremo su quella croce che, invano, abbiamo tentato di evitare. 

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