In cerca di luce

IV Domenica di Quaresima A (1Sam 16,1b.4.6-7.10-13; Ef 5,8-14; Gv 9,1-41)

Siamo tutti un po’ ciechi. Brancoliamo nel buio, alla ricerca di un senso, di una bellezza che ci sembra perduta, di una luce che ci sembra negata. È fatta di tenebre la nostra esistenza, di insicurezze e incomprensioni. Ed è nelle tenebre che si fa il male, perché sia nascosto e non sia visto. Siamo in cerca a tentoni, mendicanti di visioni e di vedute, persi nelle nostre cose che non ci fanno vedere bene, non ci fanno vedere lontano.

Siamo ciechi quando pensiamo di tenere tutto, persino Dio, sotto controllo. Siamo ciechi e lo restiamo, quando ci illudiamo di vedere bene, di bastare a noi stessi e restiamo chiusi nel nostro buio.

Ma non c’è vista se non nella luce, non c’è visione se non c’è qualcosa che illumina il nostro occhio.

Il cieco nato non ha peccato e non hanno peccato i suoi genitori. Siamo tutti nati un po’ ciechi. E quando ci accorgiamo di non vedere, proprio allora Dio può manifestare in noi le sue opere.

Gesù si accosta al cieco e compie un segno, ricco e articolato.

Sputa a terra e fa del fango con la saliva. La saliva era considerata un addensamento di respiro, un accumulo di soffio, un condensato di spirito. Polvere della terra e soffio, come Dio, al principio, nella creazione. Non basta la prima creazione. Per vedere abbiamo bisogno di una nuova creazione. Gesù prende l’uomo e lo riplasma, rende nuovi i suoi occhi perché siano aperti e vedano bene. Non basta nascere una volta al mondo, bisogna rinascere per vedere la luce, per venire alla luce. 

Perché ciò avvenga, però, non basta l’azione che Gesù ha spontaneamente compiuto. Il cieco, infatti, non ha chiesto nulla. Non ha invocato la guarigione. Gesù, liberamente, compie l’inizio di una nuova creazione, di una rinascita che può aprire alla luce, alla bellezza di ciò che si dona e si fa vedere.

Ma poi è il cieco che deve metterci del suo. Gesù, infatti, lo invita ad andare. E chi lo manda è l’Inviato. Il cieco deve andare a lavarsi nella piscina di Siloe, che significa inviato.

Per vedere e avere la luce, il cieco deve immergersi nell’Inviato, nel Figlio che Dio ha mandato, luce che illumina il mondo, amore che risolleva, pastore che guida e cura. 

La guarigione non è automatica. È l’incontro di più voleri. Del Padre che invia il Figlio, del Figlio che rinnova l’opera della creazione e anche del cieco che deve immergersi in questo mistero, quello del Figlio dell’uomo, che rivela e fa vedere il volto di Dio e anche il nostro.

L’uomo, che prima era cieco, ora è guarito, vede tutti, ma non Gesù. E tutti vedono che egli è guarito, non ha più bisogno di mendicare la vita, può essere libero e andare ovunque. 

La sua presenza, però, suscita sorpresa e interrogativi. Tutti quelli che lo conoscevano gli chiedono conto di ciò che è cambiato, vogliono sapere ciò che è accaduto. Vogliono capire perché ora ci vede.

E, per inciso, non so se oggi, a noi cristiani, gli altri chiedano conto delle nostre visioni, della luce che ci brilla negli occhi, non so se ci chiedano chi ci ha fatto vedere, chi ci ha aperto gli occhi e donato la luce. O, forse, quella luce, la teniamo nascosta? O abbiamo deciso che non ci serve, che è più comodo restare nel buio? O, forse, si sbaglia Paolo a pensare di noi che un tempo eravamo tenebra e che ora siamo luce nel Signore?

Il resoconto dell’uomo è semplice e lineare. Racconta il fatto e racconta quell’uomo che si chiama Gesù. Egli non sa molte altre cose, ha solo sentito una mano sugli occhi e ascoltato una voce.

Egli non sa dove sia Gesù, non sa rispondere a quella domanda. Proprio lui, che era cieco e ora vede, non ha mai visto in faccia quell’uomo.

Perché la vista del corpo, che gli è stata donata, è solo l’inizio di una nuova scoperta, di una ricerca e di una messa in questione. È stato un uomo a fargli questo e di quell’uomo non ha visto il volto. Non sa nemmeno dove egli sia. 

Eppure, per lui iniziano ora i veri problemi. Avere la vista, in un mondo di ciechi, non è ben visto. 

È di sabato che Gesù lo ha guarito. E i farisei hanno da ridire. La loro reazione è cieca. Essi non vedono che il cieco è guarito, vedono solo i loro interessi. Hanno gli occhi chiusi a ciò che è nuovo, troppo piegati su ciò che già sanno, su ciò che occupa il loro pensiero.

Vedere, infatti, è lasciarci stupire da ciò che appare, lasciarsi interrogare da ciò che si scopre, è intuire prospettive nuove, aspetti diversi da quelli pensati. È lasciare che ciò che è davanti impressioni la retina e ci cambi dentro. È accettare l’imprevedibile, lasciarsi incontrare da ciò che è fuori, da ciò che è oltre il nostro naso.

Il problema contestato a Gesù, attraverso colui che era stato cieco, è di non aver rispettato il sabato. È proprio di sabato che Gesù, infatti, ha compiuto quel gesto. Se in sei giorni Dio ha creato il mondo ed è nel sesto che ha creato l’uomo, è nel settimo che Gesù pone il segno della nuova creazione. È il compimento di ciò che il Padre ha iniziato.

Ma ora colui che era cieco si spinge avanti. Gesù, per lui era solo un uomo, davanti ai farisei, invece, lo definisce profeta. La sua vista si fa sempre più acuta, i suoi occhi sempre più aperti. Penetra in fondo al mistero di colui che gli ha donato la luce.

Sono chiamati a testimoni anche i genitori. Se è nato cieco, sono loro a dover dare delle spiegazioni. Ma essi hanno paura. Sanno soltanto che prima era cieco. Di chi sia ad avergli aperto gli occhi, non sanno nulla. E, in realtà, non vogliono saperne. Non vogliono avere problemi.

L’uomo è sempre più solo in questa scoperta della luce, in questa ricerca che ora è possibile. È interrogato di nuovo. È invitato dai farisei a dare gloria a Dio dichiarando peccatore proprio colui che ha vinto le tenebre in cui egli era immerso. 

Ma per lui, che ora ci vede, le cose sono molto più semplici: “Una cosa io so: ero cieco e ora ci vedo” (Gv 9,25b).

E lo stupore si fa violenza. Perché i farisei, che dovrebbero sapere, sono proprio quelli che ignorano, non sanno e non conoscono “di dove sia” quell’uomo Gesù. Ignorano la sua origine, non conoscono chi lo ha mandato, non sanno che proprio lui è l’Inviato. Non sanno di dove sia colui che ha aperto gli occhi al cieco. Ed è proprio lui, che ora ci vede, ad additare colui che, in realtà, non ha mai visto. Nessuno ha mai aperto gli occhi ad un cieco e, poiché quell’uomo, che è un profeta, lo ha fatto, egli certamente viene da Dio. 

La vista del cieco si fa più precisa. Gesù per lui era un uomo, poi un profeta, ora uno che viene da Dio. Perché solo da Dio può venire la luce e l’Inviato è luce del mondo, che dona, a chi lo vuole, occhi nuovi per vedere ogni cosa.

Solo alla fine, quando egli fu cacciato fuori, incontra Gesù e può vederlo. Lo vede ora, per la prima volta. Lo vede con gli occhi e lo vede davvero. 

Il dialogo è stretto. Non ci sono preamboli o premesse da fare. 

“Tu, credi nel Figlio dell’uomo?”

“E chi è, Signore, perché io creda in lui?”

 “Lo hai visto: è colui che parla con te”

“Credo, Signore!”

È uno scambio che cambia la vita. È accordo di mente e di cuore, è visione che rinnova tutto. Lo hai visto, dice Gesù, è colui che parla con te. Per vedere Dio è necessario che lui parli con noi. Per ascoltare Dio è necessario che sia lui ad aprirci gli occhi. Ascolto e visione sono i presupposti per arrivare all’incontro, per arrivare alla fede autentica. 

Per credere non c’è altra via. Bisogna scoprirsi ciechi, privi di luce propria.

Quella del cieco nato è la storia di ogni credente. Siamo ciechi senza la luce, senza una mano che ci impasti di nuovo. Siamo ciechi se non ci immergiamo nel mistero dell’Inviato, in quell’amore che ci salva e redime. Noi, da soli, brancoliamo nel buio.

Non è peccato essere ciechi, sarà Dio a manifestare che tutto in noi è opera sua. È peccato dire “Noi vediamo”. Coloro che non vedono possono vedere, ma quelli che pensano di vedere diventano sempre più ciechi. Sono diventati ciechi i farisei, incapaci di vedere ciò che è stato compiuto, di vedere, nel cieco guarito, la mano di Dio e la sua opera, incapaci di vedere in Gesù colui che il Padre ha inviato. Essi non sapevano di dove gli sia e non hanno voluto vedere, non hanno voluto conoscere lui e chi lo ha mandato. 

Nessuno può vedere davvero se non si lascia incontrare dal Cristo: è sua la mano che ci fa venire alla luce, è lui la luce che ci apre gli occhi, è sua la parola che ci fa immergere nell’amore del Padre che per noi lo ha mandato.

Svegliati, tu che dormi, risorgi dai morti e Cristo ti illuminerà” (Ef 5,14).

Liturgia della Parola

Se vuoi contribuire alle spese del sito puoi fare qui una tua donazione

Condividi