Venite e diventate Parola

III Domenica del Tempo ordinario A (Is 8,23b-9,3; 1 Cor 1,10-13.17; Mt 4,12-23)

Venite e diventate Parola

Per quanto siano fitte le tenebre c’è sempre una luce a rischiarare la notte, per quanto sia profondo il silenzio c’è sempre una voce a sollevare il cuore, per quanto siamo lontani da Dio c’è sempre la sua parola a venirci incontro, a inseguirci nei nostri sentieri, a incontrarci sui nostri cammini sperduti. È così che ha inizio il Vangelo e si muove su strade inattese. Così avanza ancora oggi l’annuncio lieto: Dio si è fatto vicino, si è accostato alle nostre vite ordinarie.  

Quando Gesù seppe che Giovanni era stato arrestato, si ritirò nella Galilea, lasciò Nàzaret e andò ad abitare a Cafàrnao, sulla riva del mare, nel territorio di Zàbulon e di Nèftali, perché si compisse ciò che era stato detto per mezzo del profeta Isaìa:
«Terra di Zàbulon e terra di Nèftali,
sulla via del mare, oltre il Giordano,
Galilea delle genti!
Il popolo che abitava nelle tenebre
vide una grande luce,
per quelli che abitavano in regione e ombra di morte
una luce è sorta»
(Mt 4,12-16)

Così Gesù dà inizio alla sua missione, segnata già all’inizio da una consegna. Gesù esce allo scoperto quando Giovanni fu consegnato. È quello il segno che non si può attendere ancora e Gesù inizia la sua consegna, il suo consegnare se stesso e la sua parola perché la notte risplenda di luce, la morte si ridesti alla vita, il silenzio oda una voce, il pianto si trasformi in sorriso, la guerra si converta in pace. 

E l’inizio è sempre altrove, lontano dai luoghi adatti, fuori dai recinti pensati, oltre i confini già stabiliti. Gesù inizia la sua missione sulla riva del mare, in un territorio lontano e dimenticato, crocevia di gente e di pensiero, di religioni e di mestieri. Il territorio di Zàbulon e Nèftali, terra che è oltre il Giordano, la Galilea dei pagani, il rifugio di tutti i lontani, di coloro che sanno di non essere a casa, di quelli rimasti fuori. Eppure è lì che Gesù si fa presente, è lì che inizia a parlare, a far sentire, nella sua voce, la voce del Padre, è lì che egli si mostra, Parola uscita da Dio per ricondurre a lui ogni cosa.

Ci sono popoli nelle tenebre, ci sono cuori che sono al buio. Ci sono vite che sanno di morte, speranze che sono fallite, illusioni che sono cadute. Ed è per loro che è sorta una luce, è per noi che risplende nuova l’aurora di un lieto annuncio. Come accadde in principio, così accade sempre. È Dio a parlare e a fare luce in mezzo alle tenebre. “Sia la luce”, disse, e la Parola illuminò il mondo.

Non è poesia o nostalgia, non è consolazione o dolce rifugio, è impatto forte tra la luce e il buio, tra la vita e la morte, tra la pace e la guerra, tra la Parola e le nostre chiacchiere.

Da allora Gesù cominciò a predicare e a dire: «Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino» (Mt 4,17)

Gesù predica ciò che non aspettiamo, ciò che abbiamo dimenticato, ciò di cui possiamo fare ormai a meno. 

“Il regno dei cieli è vicino”, ma a chi importa? È già difficile gestire i nostri regni, preoccupati dei nostri tesori, impegnati nei nostri poteri, distratti dai nostri piaceri. Eppure il regno dei cieli si è fatto vicino. Si è avvicinato alla nostra distanza, si è accostato alla nostra lontananza. Non potevamo muoverci noi, non potevamo salire nei cieli. 

E Dio si è fatto vicino. Ci ha avvicinato il suo regno. Non è solo questione di un Dio che regna, di un tempo di vita e di pace. È, soprattutto, questione di un uomo, Gesù, che rende vicino per noi il regno, perché in lui il regno si fa presente, in lui il futuro si fa oggi. È vicino il regno dei cieli e ad accostarsi, alle periferie di tutta la storia, è quell’uomo che predica la lieta notizia, quell’uomo che è la Parola lieta che Dio ha da dire all’umanità.

Solo da qui può nascere la conversione. Accogliere lui, ascoltare lui è vivere il regno, già ora e già qui, è renderlo visibile, è renderlo vivo e concreto nella storia della nostra vita. E perché ciò avvenga bisogna cambiare la mente, pensare in modo nuovo, abbandonare i sentieri soliti per imboccare la strada su cui egli ci precede. Conversione non è fare cose, ma seguire una persona. 

Mentre camminava lungo il mare di Galilea, vide due fratelli, Simone, chiamato Pietro, e Andrea suo fratello, che gettavano le reti in mare; erano infatti pescatori. E disse loro: «Venite dietro a me, vi farò pescatori di uomini». Ed essi subito lasciarono le reti e lo seguirono (Mt 4,18-20)

Gesù cammina lungo il mare di Galilea. Quel lago ha il sapore del mare e ricorda che le acque sono luogo di morte. Il mare, infatti, nella Scrittura è segno e richiamo al disordine che contraddice la creazione, alla ribellione che rifiuta il limite imposto da Dio alle onde del mare, alla separazione tra le acque e la terraferma. Ed è lungo il mare che Gesù vede due fratelli. I primi chiamati, i primi eletti, i primi invitati ad uscire dal mare, ad abbandonare il passato. 

Gettavano le reti in mare e Gesù li invita a seguirlo, ad andare dietro a lui e diventare pescatori di uomini. È la sequela che ci rende discepoli, è il mettere i piedi sulle orme del Cristo che ci salva dal mare, è l’essere salvati che ci permette di pescare, cioè condurre fuori dal mare/male, i nostri fratelli. Siamo chiamati a seguire lui, a restarli attaccati come un bimbo a sua madre, come l’ombra alla luce. Seguire lui non serve a soddisfare noi stessi, a salvarci la vita, a farci sentire meglio e migliori. Stare dietro a lui, andare con lui è la premessa e la condizione perché gli altri lo riconoscano, perché gli altri siano pescati e tirati fuori dal buio che non fa vedere.

Bisogna lasciare le reti, strumento di vita e sopravvivenza, per imparare con lui ciò a consegnarci. Seguirlo è iniziare anche noi, insieme con lui, a donare la vita perché gli altri abbiano vita.

Andando oltre, vide altri due fratelli, Giacomo, figlio di Zebedèo, e Giovanni suo fratello, che nella barca, insieme a Zebedeo loro padre, riparavano le loro reti, e li chiamò. Ed essi subito lasciarono la barca e il loro padre e lo seguirono (Mt 4,20-22)

E a due a due gli vanno dietro, lo seguono perché chiamati. Non si va a Cristo per meriti o per promozione, forse nemmeno per scelta e dedizione. Si va a lui perché egli ci ha visti e ci ha chiamati. È il suo sguardo a farsi chiamata, è il suo volto a farsi vedere. Egli è parola che chiama, è voce che seduce e si fa attrazione. Seguirlo è questione di amore. Non si ama se non si è scelti, ma non si ama se non si sceglie. Scegliere è sempre lasciare, perché decidersi è dare un taglio, farla finita con i tanti amori per dare la vita dietro all’unico amore.

Due a due, due coppie di fratelli. A ricordare ciò che, forse, abbiamo dimenticato. Andare dietro a lui è non è questione mia, non è affare privato. Non si va dietro a Cristo da soli, non si ascolta da soli la sua parola. Certo, essa risuona per ciascuno in modo nuovo, ma è per la voce di quella parola che siamo costituiti fratelli, che diventiamo chiesa, che siamo riuniti in comunità. 

Andare dietro a lui è fare famiglia, è vincere distanze e discordie. La fraternità è il luogo della sequela perché, lasciando il padre terreno, ci si riscopre figli dell’unico Padre, ci si scopre fratelli.

Gesù percorreva tutta la Galilea, insegnando nelle loro sinagoghe, annunciando il vangelo del Regno e guarendo ogni sorta di malattie e di infermità nel popolo (Mt 4,23)

La missione di Gesù, che è anche nostra, non ha limiti e confini, non ha zone franche e aree dismesse. Egli percorre tutta la Galilea, insegna e annuncia il vangelo del Regno. Lo fa con gesti d’amore e di premura. Mostra che Dio si è fatto vicino, si è fatto cura, guarigione e compassione. Egli non è l’ennesimo maestro di vita, che ha da dare consigli e proporre teorie, è banditore di un annuncio di grazia, è lui stesso vangelo, parola lieta che guarisce e cura.

Il vangelo del Regno è parola che vive in un uomo, è segno inciso su carne, è corpo segnato dai chiodi. 

Vi esorto, fratelli, per il nome del Signore nostro Gesù Cristo, a essere tutti unanimi nel parlare, perché non vi siano divisioni tra voi, ma siate in perfetta unione di pensiero e di sentire.

È forse diviso il Cristo? Paolo è stato forse crocifisso per voi? O siete stati battezzati nel nome di Paolo? Cristo infatti non mi ha mandato a battezzare, ma ad annunciare il Vangelo, non con sapienza di parola, perché non venga resa vana la croce di Cristo (1Cor 1,10.13.17)

Seguendo il Cristo siamo riuniti in perfetta unione di pensiero e di sentire. Non siamo di questo o di quello, non siamo di destra o sinistra, non siamo progressisti o tradizionalisti, siamo soltanto di Cristo, perché soltanto lui è stato crocifisso per noi. 

E noi siamo chiamati a stargli dietro per diventare, insieme con lui, Vangelo, perché, consegnando noi stessi con lui sulla croce, risplenda su queste tenebre un po’ della sua luce. 

Liturgia della Parola

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