Una vita controcorrente

IV Domenica del Tempo ordinario A (Sof 2,3; 3,12-13; 1Cor 1,26-31; Mt 5,1-12a)

È sempre difficile distinguere i criteri divini da quelli umani, la sapienza di Dio da quella degli uomini. E ogni cristiano si trova nel mezzo, incerto abitante di logiche opposte. C’è una scelta da fare, ci sono decisioni da prendere, c’è un criterio da scegliere. E, nonostante le tante parole, è sempre difficile prendere per buone le beatitudini, parole che sconvolgono il senso comune, che mettono in crisi le nostre certezze, che ribaltano i nostri piani. Il nostro è un Dio imprevedibile, un Dio che ci chiede di andare controsenso sui sentieri della storia. 

Eppure è quella la sfida lanciata ad ogni discepolo, ad ogni uomo che non voglia ridurre la fede a cornice e ornamento della propria vita. Bisogna scegliere da che parte stare, bisogna scegliere una logica altra, che vada, una buona volta, controcorrente, che denunci e annunci un modo nuovo di stare al mondo, un modo divino di affrontare la vita. 

Cercate il Signore
voi tutti, poveri della terra,
che eseguite i suoi ordini,
cercate la giustizia,
cercate l’umiltà;
forse potrete trovarvi al riparo
nel giorno dell’ira del Signore
(Sof 2,3)

Per cercare Dio bisogna essere poveri, non cerca Dio chi è pieno di tutto, chi non sente il vuoto di ciò che possiede, chi non avverte il bisogno di mendicare la vita. La povertà è condizione della ricerca e dell’incontro perché è condizione di ogni apertura. Sono gli insoddisfatti a cercare ancora, a rimestare la vita alla ricerca di qualcosa e qualcuno che la renda vivibile. Solo chi è povero cerca la giustizia e l’umiltà, solo chi è povero può cercare Dio e aprirsi all’incontro con lui. 

Considerate la vostra chiamata, fratelli: non ci sono fra voi molti sapienti dal punto di vista umano, né molti potenti, né molti nobili.
Ma quello che è stolto per il mondo, Dio lo ha scelto per confondere i sapienti; quello che è debole per il mondo, Dio lo ha scelto per confondere i forti; quello che è ignobile e disprezzato per il mondo, quello che è nulla, Dio lo ha scelto per ridurre al nulla le cose che sono, perché nessuno possa vantarsi di fronte a Dio.
[…] Chi si vanta, si vanti nel Signore (1Cor 1,26-29.31)

Dio ha scelto ciò che per il mondo è stolto, Dio ha scelto la debolezza che il mondo disprezza. E allora, credere in lui, è farsi stolti agli occhi degli altri, è diventare deboli, riconoscere che siamo nulla. Un nulla che Dio ha scelto e ha amato. Un nulla in cui Dio ha scelto di mostrare la gioia e la gloria del regno. Non possiamo vantarci, non possiamo portare a nostro favore prove di forza e di ricchezza, di santità e di dedizione. Possiamo, soltanto, riconoscerci indegni del dono che abbiamo, della scelta che Dio ha fatto. È lui a dirci suoi, è lui a farci beati, a dichiarare la nostra gioia, quella che gli occhi distratti del mondo non possono vedere e riconoscere. 

E per vantarsi in Dio, bisogna svuotarsi di tutto, bisogna restare nel mondo ed essere segno che va controcorrente. 

In quel tempo, vedendo le folle, Gesù salì sul monte: si pose a sedere e si avvicinarono a lui i suoi discepoli. Si mise a parlare e insegnava loro dicendo:
«Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli.
Beati quelli che sono nel pianto, perché saranno consolati.
Beati i miti, perché avranno in eredità la terra.
Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia, perché saranno saziati.
Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia.
Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio.
Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio.
Beati i perseguitati per la giustizia, perché di essi è il regno dei cieli.
Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia. Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli»
(Mt 5,1-12a)

Le beatitudini ci fanno salire sul monte, ci impongono una prospettiva nuova, ci mostrano il mondo da un altro punto di vista. Quello di Dio, quello di Gesù, quello dei poveri di tutti i tempi.

È beato chi è povero e non basta a se stesso, chi piange e ha bisogno di un volto che lo consoli e risollevi, chi è mite e vive nell’umiltà, chi ha sete di fare la volontà di Dio, chi è misericordioso e puro di cuore e vede tutto con gli occhi di Dio, chi opera per la pace ed è perseguitato per aver scelto di obbedire a Dio e non agli uomini. È beato chi viene insultato e soffre a causa di Cristo e della sua parola. È beato chi vive di Dio perché ha scelto di non avere altro. Le beatitudini sono il volto nuovo della storia, la dichiarazione di un futuro possibile. Essere beati è dono di Dio perché solo cercando lui si scopre la gioia che nessuno può dare. 

Gesù si rivolge ai discepoli, sono loro i destinatari di queste parole. Non sono parole nuove, in esse riecheggia tutto il cammino, tutta la storia che Dio sta guidando. Gesù dice ai discepoli che possono essere beati. Sono dichiarazioni di gioia che fatichiamo a capire, perché non riusciamo a riconoscerle e a vederle vive nelle vicende di ogni giorno.

Perché se è vero che Gesù parla di beatitudine, agli occhi del mondo, essere poveri, piangenti, miti, bisognosi di giustizia, misericordiosi, puri cuore, pacificatori e perseguitati, insultati e offesi è la cosa peggiore che possa accadere. Ciò che Dio chiama beato, il mondo lo chiama fallito e finito. Ciò che Dio chiama beato, il mondo lo chiama disfatta.

Per vivere nello spirito delle beatitudini dobbiamo essere pronti a rischiare tutto, a giocarci ogni cosa e ogni ricchezza, perfino la dignità, perché non è in noi che confidiamo, non è in ciò che siamo e che abbiamo che poniamo speranza. 

Essere discepoli è lasciare che la croce diventi la trama nascosta delle nostre scelte, la cifra concreta del nostro vivere, il segno chiaro del nostro cammino. Perché non ci sono per noi altre speranze, non ci sono altre consolazioni e sostegni. 

Lasciamo pure che il mondo ci giudichi con le sue logiche, ci valuti con i suoi criteri, si sdegni contro di noi perché proviamo a mostrare che nessuno basta a se stesso, che nessuno si salva da solo, che nessuno può arricchirsi di ciò che solo Dio può ancora donarci.

Bisogna lasciare che la croce e la sua logica diventi la trama quotidiana della vita perché la nostra speranza non ha i giorni contati, non è ridotta a questa vita, non si misura sui giorni di ricchezza e successo che possiamo godere.

È nel Cristo il nostro vanto e solo in lui la beatitudine.

Liturgia della Parola

Se vuoi contribuire alle spese del sito puoi fare qui una tua donazione

 

 

 
Condividi