Così fu generato e così resta con noi

IV Domenica di Avvento A (Is 7,10-14; Rm 1,1-7; Mt 1,18-24)

Ci sono svolte che non sono pensabili. È l’incursione di Dio nella nostra vita, il suo farsi vivo lì dove non è possibile, proprio quando non è contemplato. E a fatica riusciamo a credere che sia proprio lui a farsi presente, perché è segno chiaro che ci mette in crisi, che si fa vicino e ci chiama a giudizio. Dio infatti, mentre si dona, ci spinge sempre ad una crisi, ad una scelta che è solo nostra. 

Dio ha scelto di nascere nella dinastia di Davide, una casata andata in malora a causa delle scelte sbagliate, dei fallimenti, della corruzione. E Dio riprende in mano quella vecchia storia, quella promessa di un segno da dare. E quel segno si fa carne vera. Dio si inserisce nella storia umana per vie traverse e sempre nuove perché questa realtà diventi gravida di vita e di futuro. Perché Dio questa nostra storia così travagliata la ama e ha scelto di salvarla, ha scelto di restarci accanto. Non come vogliamo e pensiamo noi, perché l’amore va sempre oltre, supera ogni progetto e sogno umano. Giuseppe, uomo giusto e del silenzio, ha scelto da che parte stare.

Il Signore parlò ancora ad Àcaz: «Chiedi per te un segno dal Signore, tuo Dio, dal profondo degli inferi oppure dall’alto». Ma Àcaz rispose: «Non lo chiederò, non voglio tentare il Signore» (Is 7,10-12)

Quando Dio mostra la sua presenza e offre i segni del suo agire fedele è più difficile tirarsi indietro. A volte si preferisce lasciare le cose così come sono, perché è più comodo gestire gli affari, fare da soli e poi lamentarsi. 

Acaz ha le sue strategie umane, i suoi desideri e i suoi bisogni. Non vuole che Dio si metta in mezzo, che si mostri vero e fedele. Preferisce fare da sé e risolvere tutto con intrighi politici, con alleanze e forze umane. Egli non vuole un segno perché il segno è parola che indica, è criterio che mostra la via, è segnale che non va ignorato. Il segno è giudizio che stabilisce il fallimento dei progetti soltanto nostri, di quei sogni in cui Dio è la facciata che nasconde i nostri sporchi bisogni. 

Allora Isaìa disse: «Ascoltate, casa di Davide! Non vi basta stancare gli uomini, perché ora vogliate stancare anche il mio Dio? Pertanto il Signore stesso vi darà un segno (Is 7,13)

La casa di Davide è vicina alla rovina e, seppure Acaz voglia sbrigare le cose a modo suo, Dio ha scelto di non lasciarsi stancare. Il profeta annuncia che Dio, nonostante tutto, continua ad avere a cuore la sorte di quella dinastia, stirpe eletta per portare il Messia. 

Dio stesso darà un segno. Dio stesso confermerà la sua promessa. E quel segno denuncerà l’infedeltà degli uomini dicendo la fedeltà di Dio. Quel segno è forza che testimonia che anche se gli uomini fanno scelte diverse e reagiscono alla maniera umana, Dio resta fedele alla sua parola. La fedeltà di Dio svela e chiama in causa la nostra infedeltà.    

Ecco: la vergine concepirà e partorirà un figlio, che chiamerà Emmanuele» (Is 7,14)

La storia dinastica, che sembra fallita, rinasce e riprende non grazie alle strategie e alleanze umane, non per le consorterie e i matrimoni combinati, ma perché una vergine concepirà e partorirà un figlio. E lo chiamerà Emmanuele. È Dio che riscatta la storia perché in essa egli è presente, come segno che ribalta i giudizi, che svela il vero dietro ogni apparenza, che rende viva la radice già morta. 

La realizzazione di questo segno nella storia non fu felice, il figlio erede non fu all’altezza, perché ogni segno è richiamo alla scelta, è inizio di crisi e di giudizio, di schieramento e di decisione. Eppure la parola divina resta efficace e chiede a ciascuno di lasciarsi coinvolgere nel sogno divino che supera ogni progetto. 

Il segno promesso è profezia, è mistero mai per sempre chiarito. Ed è così che parla Dio con parole che in ogni tempo sono riscritte in modo nuovo, sono riaperte per dire il futuro. La vergine (nella traduzione scelta dalla Settanta e dall’evangelista Matteo) concepirà un figlio, Dio si appresta a dare un nuovo inizio. 

Ed è arrivato il tempo in cui quel segno e quella parola ha preso carne e si è fatto uomo. 

 Così fu generato Gesù Cristo: sua madre Maria, essendo promessa sposa di Giuseppe, prima che andassero a vivere insieme si trovò incinta per opera dello Spirito Santo.  Giuseppe suo sposo, poiché era uomo giusto e non voleva accusarla pubblicamente, pensò di ripudiarla in segreto (Mt 1,18-19)

È l’inizio (la genesi) di un tempo nuovo, quello di Cristo, il Messia atteso. Il suo inizio è nascosto nell’ombra del silenzio, quello di una madre incinta che vede lievitare il suo grembo e quello di un uomo, Giuseppe, che non ha parole per pensare il mistero. 

Giuseppe è giusto perché sa leggere nel cuore di ciò che accade e sa scegliere il bene. Egli conosce la sua sposa promessa, conosce il suo volto e il suo candore, conosce il suo cuore e la sua vita. Giuseppe non dubita e non sappiamo perché. Forse perché certi cuori sono visibili, lasciano farsi vedere e leggere. E così sarà stato per lo sposo Giuseppe: il cuore di Maria, incinta in silenzio, racconta a lui ciò che non sa, fa intravvedere ciò che è mistero. 

Giuseppe cerca di trovare un modo semplice per fare ciò che è giusto secondo il cuore e secondo la legge. La legge impone ciò che bisogna fare ma il cuore sa che ciò che la legge dà per ovvio e scontato, un adulterio e un tradimento, non è avvenuto perché oltre a leggere la legge Giuseppe, che è giusto, ha imparato a leggere il volto della sua sposa. 

Però, mentre stava considerando queste cose, ecco, gli apparve in sogno un angelo del Signore e gli disse: «Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa. Infatti il bambino che è generato in lei viene dallo Spirito Santo; ella darà alla luce un figlio e tu lo chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati».
Egli pensa e considera, cerca di trovare una via d’uscita, un compromesso perché la legge e il cuore siano riconciliati e insieme ascoltati. Ma né la legge né i sentimenti umani possono risolvere il mistero che la sua scelta deve dirimere. 

E allora è Dio a farsi vicino, a penetrare in quei pensieri. È il sogno di Giuseppe e quello di Dio, quello di una intera umanità. Avere un Dio che entri in questa storia e ne porti il peso, un Dio che sia di casa nella casata di Davide, un Dio che abbracci una storia fallita e la faccia fiorire di vita nuova. Ci vuole lo Spirito per generare, ma ci vuole il nome per tessere insieme il passato e il futuro, per intrecciare antichi vissuti, per vedere i fallimenti e riscattare le storie fallite. Ci vuole Giuseppe per inserire quel figlio nel fango di questa storia, nelle trame dei nostri misfatti, nei solchi di quest’attesa che, altrimenti, è destinata a fallire.

Giuseppe non deve temere di prendere con sé Maria, non deve temere di tenere insieme il candore del volto della sua sposa e le esigenze della legge, non deve temere di tenere insieme Dio e l’uomo, di vedere Dio che agisce nella dinastia di Davide per creare in essa una crisi nuova. E quel figlio sarà figlio suo, perché sarà figlio di questa storia malata, di questo succedersi di infedeltà, ma sarà figlio in modo nuovo, sarà Messia che stravolge le attese, sarà il Re che sconvolge ogni pretesa. È per questo che ciò che è generato in Maria viene dallo Spirito Santo. Perché Dio si inserisce nella storia per giudicarla e per salvarla. Per liberarci dalle scorie delle nostre pretese e innalzarci dai nostri bisogni.

Tutto questo è avvenuto perché si compisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta: «Ecco, la vergine concepirà e darà alla luce un figlio: a lui sarà dato il nome di Emmanuele», che significa “Dio con noi”.
Quando si destò dal sonno, Giuseppe fece come gli aveva ordinato l’angelo del Signore e prese con sé la sua sposa 
(Mt 1,20-24)

 Ci sarà un figlio che sarà figlio di questa storia malata ma porterà in essa un germe nuovo. Egli sarà l’Emmanuele il Dio con noi. 

Giuseppe darà il nome a Gesù. Quel nome ci ricorda che Dio ci salva perché ci denuncia, perché ci fa vedere i nostri peccati. Egli è quel segno che Acaz rifiuta perché se Dio impegna se stesso nelle nostre storie fallite e corrotte, se egli si fa vicino come salvezza, allora anche noi possiamo cambiare, possiamo accogliere la storia nuova, la via nuova che egli apre per noi.

E il Messia Emmanuele sarà rifiutato come segno scomodo, perché scomoda i nostri sogni, così pieni di noi e delle nostre cose, così lontani da quello di Giuseppe. 

Il Messia è venuto grazie ad un grembo vuoto, ad un corpo che si è fatto casa e spazio accogliente, grazie ad una donna che ha intessuto in sé parole divine, grazie ad un uomo innamorato che ha saputo vedere oltre ogni malizia e ha scelto di essere solo strumento di un dono che non gli appartiene. 

Giuseppe è immagine di chi sa ascoltare gli altri e i sogni, il cuore e Dio, la storia e il mistero e sa accogliere tutto e farsi custode. Egli ha dato il nome a Colui il cui nome è sopra ogni altro nome. Il Messia da Maria ha preso la carne e l’umanità, da Giuseppe ha assunto e abbracciato la storia malata, in cui Dio si è immischiato e sporcato le mani, la storia di quella dinastia che proprio quando non ha più strategie e alleanze politiche, può fiorire e veder nascere il Dio con noi che dà senso alla storia passata, che la riassume e la rilancia, perché il nome di Dio è promessa che impegna Dio a farsi presenza e impegna ogni uomo a decidersi ad accogliere oggi, nei suoi sogni e desideri, nei suoi amori e nelle sue attese, il sogno di Dio che ci mette in crisi, ma che ci spinge a non temere, perché Dio viene a salvarci dai nostri peccati, viene a riscattare la nostra vita, a liberarci dalla nostra miseria. 

Così fu generato Gesù Cristo, così egli è vivo oggi nella tua storia.

Liturgia della Parola

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