Lo scandalo della gioia

III Domenica di Avvento A (Is 35,1-6a.8a.10, Gc 5,7-10; Mt 11,2-11)

Nel cuore dell’avvento risuona l’invito alla gioia: non è più tempo di pianto e tristezza. Ma come e perché gioire? Attorno a noi regna una coltre di nube e di rassegnata disperazione. Nulla sembra andare per il verso giusto e i progetti umani sono sempre più incerti e precari. Siamo in balia delle onde e delle maree. Eppure risuona per noi l’invito a rallegrarci. Risuona nei nostri lamenti, nei pianti di chi non ha certezze, nelle lacrime di chi ha perso molto, nei singulti di chi vede la morte a portata di mano, di chi sente il dolore che lacera il corpo e spezza il cuore. 

La gioia cristiana non è illusione o vaneggiamento, non è fuga o irrealismo. Proprio a noi, che non vediamo motivi per cui sperare, che non abbiamo motivi per cui esultare, Dio ricorda e mostra che egli viene, e viene proprio dove non lo aspettavamo, proprio quando tutto ci invita ancora a chiedere: “sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro?” (Mt 11,3).

Giovanni, che era in carcere, avendo sentito parlare delle opere del Cristo, per mezzo dei suoi discepoli mandò a dirgli: «Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro?» (Mt 11,1-3)

Questa domanda non attende risposte da catechismo, non è fatta per approfondimenti teologici. Giovanni è in carcere perché non si è piegato alla forza dei potenti, non ha modellato la verità sui capricci del tempo, non ha ceduto alle lusinghe di accarezzare e coccolare le voglie di chi domina il mondo. E dal carcere, Giovanni sente parlare delle opere del Cristo. L’evangelista ci lancia un segnale: Giovanni sa che le opere di Gesù sono le opere del Cristo. Egli stesso lo aveva additato e aveva per lui preparato la strada. 

Ora, però, Giovanni manda i suoi discepoli a porre una domanda chiara. E quella domanda non è fatta per lui. Non penso che Giovanni sia rimasto deluso, non è vero che egli ha presentato un Messia diverso da come Gesù si è presentato. Soprattutto nel vangelo secondo Matteo la predicazione di Giovanni è interamente ripresa e confermata da Gesù (anche le parole più dure che Giovanni ha pronunciato in Mt 3, 7-12 trovano un’eco nella predicazione di Gesù, ad esempio in Mt 7,19; 12,34-36; 24,33-36; 33,30; ecc.). 

Egli sa chi ha atteso e indicato, conosce colui per il quale ha preparato la strada. Quella domanda, invece, serve a Gesù per chiarire come stanno le cose, serve ai discepoli di Giovanni per avere il coraggio di iniziare una nuova sequela, serve a noi per chiederci cosa ancora ci manca per aprire gli occhi e le orecchie e riconoscere colui che viene.

I discepoli di Giovanni chiedono, infatti, quello che anche noi chiediamo sempre. “Sei tu colui che deve venire?” 

Ci sembra non sia sufficiente il Cristo che è venuto e che viene. Vorremo un Dio capace di agire diversamente. Viviamo sempre in attesa di altro, di qualcuno o di qualcosa che dia una svolta alla vita. Attendiamo salvezza e salvatori e andiamo alla ricerca di qualcuno che finalmente faccia per noi ciò che abbiamo deciso. Speriamo in qualcuno che ci mostri la strada per essere felici, che la renda più comoda e facile. Alla fine, pensiamo anche noi che debba ancora venire un altro a dirci e a farci ciò che vogliamo. Gesù non ci basta e non sembra bastare al mondo.

È questo lo scandalo e il dramma del lieto annuncio. Non lo sentiamo vero finché non lo crediamo, non lo vediamo finché non lo viviamo, non lo comprendiamo se non ci lasciamo afferrare da questa novità che sovverte la vita. E allora il rischio è di attendere ancora, di sperare che per questa storia e per questa Chiesa sorga un altro salvatore. 

Rischiamo sempre anche noi di attendere un altro. Di sperare in qualcuno che rinnovi la Chiesa, che riformi la società, che dica e faccia bene ciò che noi abbiamo deciso che è bene per noi e per gli altri. E aspettiamo ancora, ma inutilmente.

Gesù rispose loro: «Andate e riferite a Giovanni ciò che udite e vedete: I ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono purificati, i sordi odono, i morti risuscitano, ai poveri è annunciato il Vangelo. E beato è colui che non trova in me motivo di scandalo!» (Mt 11,4-6)

I discepoli di Giovanni non ricevono una risposta chiara. Non bastano teorie e logiche dichiarazioni. Sono loro a doversi far carico della risposta ed è Giovanni a dover ascoltare che ciò che era stato promesso è davvero adempiuto. 

I discepoli di Giovanni devono imparare ad udire e a vedere. Devono ascoltare e fissare lo sguardo su ciò che accade davanti a loro. Sta accadendo ciò che da tempo era stato annunciato. I ciechi vedono, gli zoppi camminano, i lebbrosi sanano, i sordi odono, i morti risuscitano. Sono eventi di vita, eventi di grazia piena. Sono le opere del Cristo che sana la vita di coloro che si accostano a lui. Ogni vita è malata, colpita da limiti e insufficienze. Ogni storia porta il peso delle sue ferite. E Gesù avverte: guardate la vita fiorire di nuovo, guardate la luce che risplende per tutti, seguite lo zoppo nella sua corsa, sentite con il lebbroso che la vita è viva, ascoltate con i sordi parole che rompono ogni chiusura, vivete la vita che sconfigge ogni morte. 

Guardatevi attorno, ascoltate bene. Ciò che vedete e udite è la risposta alle vostre domande. 

Ai poveri è annunciato il Vangelo. Sono i poveri a ricevere il lieto annuncio, perché sono loro ad averne bisogno e sono i primi a poterlo accogliere. La povertà è la misura della necessità ed è per questo la misura dell’accoglienza. Ai poveri giunge la lieta notizia perché per loro Dio ha immesso nella storia del mondo una ricchezza che solo loro sanno accogliere e possedere. Dio si è messo in mano dei poveri, si è donato a loro perché ha scelto di manifestarsi come uno di loro. E, se a noi il Cristo non basta e ancora aspettiamo un altro, forse è perché non siamo poveri abbastanza. Non è solo questione di ricchezze e di beni, ma di speranze, di attese, di progetti, di desideri, di bisogni.

È beato, aggiunge Gesù, chi non trova in lui motivo di scandalo. Ci scandalizziamo spesso. Ci scandalizziamo quando la vita non segue le rotte che noi abbiamo determinato, quando Dio non si fa vedere dove vorremmo incontrarlo, quando Dio non agisce come noi abbiamo previsto. Scandalizzarsi di Gesù è non accontentarsi di lui e continuare ad attendere altro. È restare delusi perché l’annuncio di salvezza vogliamo che cambi la vita degli altri e vogliamo che ci cambi la vita da fuori e, invece, è annuncio che ci chiede di cambiare noi, di cambiare il modo di vedere e sentire le cose.

È beato chi non si scandalizza di Dio e delle sue scelte. È beato chi non teme di dire che sono i poveri il centro della storia, il cuore della vita, i destinatari della lieta novella. E più si diventa come loro, più ci si avvicina a loro più si sperimenta che non c’è bisogno di attendere un altro, non c’è bisogno di aspettare ancora.

Gesù si mise a parlare di Giovanni alle folle: «Che cosa siete andati a vedere nel deserto? Una canna sbattuta dal vento? Allora, che cosa siete andati a vedere? Un uomo vestito con abiti di lusso? Ecco, quelli che vestono abiti di lusso stanno nei palazzi dei re! Ebbene, che cosa siete andati a vedere? Un profeta? Sì, io vi dico, anzi, più che un profeta. Egli è colui del quale sta scritto: “Ecco, dinanzi a te io mando il mio messaggero, davanti a te egli preparerà la tua via” (Mt 3,7-10)

La domanda sull’identità di Gesù permette ora di chiarire l’identità di Giovanni. Tutto ciò che riguarda Giovanni, infatti, è relazionato a Gesù. Questi ha confermato la sua identità e ora si impegna a confermare l’identità di Giovanni. Egli è in carcere perché non è stata una canna sbattuta dal vento, non ha inseguito ricchezze e potere, non si è lasciato addomesticare dal tempo e dalle convenienze. È rimasto fermo e fisso sulla parola dalla quale è stato inviato. Non ha ceduto alla tentazione di ingraziarsi i potenti, di scendere a compromessi con le forze del mondo, non ha ceduto al ricatto di rinunciare alla verità per essere accolto nei salotti che contano. È per questo che la gente andava a vederlo, perché, nonostante tutto, abbiamo ancora bisogno di vedere e sentire che la verità e il Vangelo possono plasmare la vita, sono forza che sovverte l’ordine che ci siamo dati, sono profezia che irrompe nella vita e la stravolge. 

Giovanni è stato un profeta, il più grande, perché solo lui tra di loro ha varcato il confine della storia. Il Battista è il messaggero che ha preparato la via al Signore che viene. 

La domanda, quindi, che egli fa porre a Gesù è l’ultimo atto di quell’annuncio, la conferma della sua missione. Quella domanda è il penultimo atto con cui egli gli prepara la strada. Ora i suoi discepoli devono udire e sentire e quindi scegliere. Devono fare i conti in prima persona con lo scandalo di quel Messia che Giovanni ha loro indicato. 

È singolare come nella risposta che Gesù offre sia citato un florilegio preso dal profeta Isaia ma, tra i vari versetti citati, Gesù tace sulla liberazione dei prigionieri, che pure è indicata più volte negli stessi capitoli di Isaia qui citati. 

Non è ancora tempo per la liberazione dei prigionieri e, soprattutto, Giovanni deve sapere che resterà in carcere perché anche lì c’è una via da preparare. Solo quando Gesù sarà fatto prigioniero allora Barabba sarà libero, allora ogni anche ogni prigioniero potrà gustare il profumo nuovo della libertà.

Il precursore deve, come un messaggero, andare avanti e vivere sulla pelle il suo indicare e deve, per questo, alla fine preparare e precedere Gesù sull’ultima via, quella che lo condurrà alla morte. 

Siate costanti, fratelli miei, fino alla venuta del Signore. Guardate l’agricoltore: egli aspetta con costanza il prezioso frutto della terra finché abbia ricevuto le prime e le ultime piogge. Siate costanti anche voi, rinfrancate i vostri cuori, perché la venuta del Signore è vicina (Gc 5,7-8)

La gioia cristiana, quindi, non nasce dalla soddisfazione per ciò che viviamo, non è frutto della realizzazione di ciò che speriamo. 

È l’esito, imprevisto e scandaloso, della capacità di vedere e udire come Dio conduce avanti la storia, come realizza la vita lì dove regna la morte, come diffonde la luce lì dove domina il buio, come parla e crea relazione lì dove domina l’isolamento, come cura e sana la vita lì dove regna l’invivibilità, come riempie di gioia e lieto annuncio la vita dei poveri, i primi che egli ha dichiarato beati.

La domenica della gioia, quindi, è invito ad andare al fondo delle nostre scelte, è richiamo a fare i conti con le nostre speranze e le nostre attese. Spesso viviamo, nel mondo e nella Chiesa, in attesa che arrivi qualcuno a salvarci. Attendiamo un altro che rimetta a posto le cose, che diriga ogni cosa così come vogliamo noi. E quando ciò non accade restiamo scandalizzati. Ci scandalizza che Dio si renda presente usando questa Chiesa, umanamente misera e peccatrice, ci scandalizza che Dio non sia lì dove si decidono le sorti del mondo, dove tutto è deciso a partire dall’aria che tira, dove si insegue la direzione del vento. 

E a noi, come i discepoli di Giovanni, sempre in cerca di conferme e di prove, Gesù ci chiede di tenere aperti gli occhi e le orecchie per sentire, proprio ora, proprio ora nelle nostre tormente e bufere, l’invito alla gioia più vera e più piena, perché la gioia è Dio che viene e ci tende la mano. 

È tempo di aprire
la vita alla gioia,
di esultare 
in questo deserto,
anche se arida 
ci appare la terra.
È tempo di credere
a promesse impossibili,
è tempo di dire,
con tutta la vita,
che ogni cosa che sembra morta
fiorisce ed esulta
e canta di gioia
al passaggio di Dio 
nella tua storia.
Egli viene e sarà primavera,
egli viene e risplende la gioia,
egli viene e sarai salvo,
E a tutti quelli che sono stanchi,
che non reggono il peso 
di questa terra, 
che hanno il cuore smarrito da tempo,
tu dona coraggio. 
Prendi per mano
chi è troppo deluso
e non può sperare ancora.
Tu mostra a tutti
il Signore che viene,
mostra che egli viene a salvarci.
E anche se la vita
ti ha reso cieco o forse sordo,
zoppo o forse muto,
questo è il tempo 
in cui il lamento
si trasforma in canto e gioia piena.
E tu, donaci di vedere e di sentire,
di annunciare e di saltare
perché per noi tu hai aperto una strada,
un sentiero che conduce a te.
E redimici ancora,
riscattaci sempre
dalle nostre miserie,
dalle nostre deluse 
infedeltà,
dalle nostre incerte 
speranze tradite.
Fa’ fuggire da noi la tristezza e il pianto
perché risplenda sul nostro volto
il grido di vita che tutti aspettano,
quello nascosto in tante urla,
messo a tacere in tanti modi,
l’unico grido che bisogna gridare:
“Coraggio, non temete!
Egli viene a salvarvi!”

(Cf. Is 35,1-6a.8a.10)

Liturgia della Parola

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