Un Segno oltre i segni

III di Quaresima B (Es 20,1-17; 1Cor 1,22-25; Gv 2,13-25)

Nel cammino di fede c’è sempre il rischio di fermarsi ai segni, utili e validi solo se segnalano altro, se spingono più avanti lo sguardo, se ci fanno giungere all’unico segno che non viene meno: il Cristo crocifisso. È il segno che dice ogni altra cosa, perché narra e mostra la potenza di Dio, la sapienza che viene da lui. Il Tempio e la Legge sono segni che rimandano altrove, segnali che richiamano e additano la realtà più grande di loro. A noi, sempre alla ricerca di segni che dicano forza e potenza, saggezza e buon senso, si staglia davanti la debolezza di Dio. Guardando alla croce, scopriamo il modo in cui Dio si rende presente, forza che libera e sana, amore gratuito e donante. 

Si avvicinava la Pasqua dei Giudei e Gesù salì a Gerusalemme. Trovò nel tempio gente che vendeva buoi, pecore e colombe e, là seduti, i cambiamonete. Allora fece una frusta di cordicelle e scacciò tutti fuori del tempio, con le pecore e i buoi; gettò a terra il denaro dei cambiamonete e ne rovesciò i banchi, e ai venditori di colombe disse: «Portate via di qui queste cose e non fate della casa del Padre mio un mercato!» (Gv 2,13-16)

Gesù sale a Gerusalemme, su quel colle dove Dio è di casa. È lì che, un tempo, era custodita l’Arca con dentro le sacre tavole, dieci parole di libertà, memoria di un Dio che si è fatto vicino per liberare dalla schiavitù. I Dieci comandamenti, infatti, ricordati nella prima lettura, sono la tavola della libertà. Ricordano che Israele non crede ad un Dio qualsiasi, ma ad un Dio che ha scelto di essere suo perché ha scelto il popolo e lo ha liberato. Tutto ha inizio da un atto di Dio che interviene e libera dalla schiavitù, che fa uscire da una terra ostile, che apre la strada a cammini di vita e di libertà. E dona le Dieci parole perché la libertà non venga meno. E tutto questo si ricordava nel Tempio, luogo che diceva il legame tra Dio e il popolo, tra il Liberatore e i Liberati, tra l’Amante e gli amati. 

La visita al Tempio, però, suscita indignazione in Gesù. Tutto ormai è diventato mercato. I sacrifici e le offerte, segni di intesa e di comunione, di relazione e di amicizia, si sono trasformati in segni che dicono la morte dell’amore, la fine della libertà. Tutto è ormai diventato commercio. La casa del Padre è diventata mercato, luogo in cui si vende e si compra Dio, in cui si commercia l’amore, in cui tutto è risolto a guadagno. Non più l’amore sembra unire il popolo e Dio, ma uno scambio che arricchisce pochi, un amore che sembra in vendita, offerto al miglio offerente. 

E anche i segni diventano idoli, ammassi di parole e di cose, di pietre e di vite che non dicono Dio e non lo raccontano, non narrano la sua vicinanza, non mostrano il suo amore fedele e gratuito. Gesù, però, non ha parole contro il Tempio, lo chiama: casa del Padre mio! Sa che quello è solo un segno, che segnala e anticipa altro, che indica e rimanda altrove. Quel Tempio per lui resta casa in cui i figli e il Padre si incontrano, luogo in cui respiare aria di amore e di libertà, di custodia e di premura. Ma ciò che Gesù vede lo fa adirare. Egli contesta il mercato che si è fatto di Dio. Si è scambiato Dio con un sovrano esigente, si è scambiata la legge con una dogana, le norme divine con ricatti umani. E ciò che era via per la libertà rischia di essere ingresso nella schiavitù. Perché anche la legge, i sacrifici e le offerte sono giusti se rimandano a Dio, se ricordano la sua azione potente, se restano segnali e promemoria. Non sono inutili e nemmeno dannosi. Hanno senso, però, se sono segnali, rimando ad altro e all’altrove. Sono vie che devono ricordare la gratuità di Dio e del suo amore, la sua azione libera e liberante, i modi umani per restare liberi e non ricadere in schiavitù. Ma Gesù vede che è tutto un mercato, occasione per sfruttare Dio perché siano fatti i propri interessi.

I suoi discepoli si ricordarono che sta scritto: «Lo zelo per la tua casa mi divorerà» (Gv 2,17)

I discepoli ricordano quindi ciò che è scritto nelle Scritture. Lo zelo ardente per la casa di Dio divorerà, divorerà la sua vita. Gesù è divorato dall’amore per la casa del Padre perché essa sia anche la casa dei figli. L’azione di Gesù, che purifica il tempio, è azione sacra e insieme profetica. È la passione per Dio e la sua casa, per questo divino abitare in mezzo al popolo a divorare il corpo di Gesù.

Gesù ci tiene a quella casa, a quel Tempio che è segno e richiamo, segnale che ricorda che Dio non è più lontano, non è da ammansire o conquistare. Egli è Dio che si è fatto tuo, perché ti ama e ti ha liberato. Ma quando tu non comprendi l’amore, quando tu non accogli colui che ti libera, quando tu non sai accogliere Dio, anche quel tempio diventa mercato. E vendi e compri ciò che sembra darti ragione. E tutto, persino il Decalogo e le parole divine hanno il sapore di ciò che è conquista o delle catene che ti rendono schiavo. Anche i segni dell’amore possono essere detti nel loro contrario. E la casa diventa mercato, la Legge diventa prigione, Dio diventa padrone.

Allora i Giudei presero la parola e gli dissero: «Quale segno ci mostri per fare queste cose?». Rispose loro Gesù: «Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere». Gli dissero allora i Giudei: «Questo tempio è stato costruito in quarantasei anni e tu in tre giorni lo farai risorgere?». Ma egli parlava del tempio del suo corpo (Gv 2,18-21)

I Giudei chiedono un segno. Sanno che doveva arrivare il Messia, spettava a lui entrare nel Tempio e renderlo puro. Allora chiedono un segno per sapere se egli poteva fare ciò che ha appena fatto. La loro domanda è seria e giusta. Non si può credere ad ogni finto messia, ad ogni folle che si crede Dio. Chiedono quindi un segno che faccia comprendere che è proprio lui, che ne ha il diritto, che quello è il suo compito. Vogliono un segno che non sia ambiguo, un atto di potenza, un atto di forza. Ci vuole poco a rovesciare i banchi e a fare una frusta di cordicelle, ma non era quella la purificazione attesa. Ed essi sono in attesa, hanno bisogno di sapere se davvero è giunto il Messia, se è proprio la purificazione che doveva arrivare. 

E Gesù sa che un segno bisogna pur darlo. E dice il segno più grande di tutti, l’unico segno che racconta chi è Dio: “Distruggete questo tempio e in tre giorni lo faro risorgere”. Parlava di sé e del suo corpo. È lui il segno che dà senso a tutto. È nel suo corpo che Dio si incontra ed è nella sua morte che Dio può parlare e mostrare il suo grande amore. Non c’è altro segno se non quella carne, quella vita destinata a morire. Gesù può denunciare quello che il Tempio è diventato perché sa che ora ogni confusione deve finire, ogni ambiguità deve cessare. Ogni segno è ambiguo e incerto. Lo è il tempio, i sacrifici, le offerte e anche il Decalogo. C’è però l’ultimo segno, quello che in cui tutto è detto e già dato. “Egli parlava del tempio del suo corpo”. Perché Dio è lì che si può incontrare, è lì che si è fatto vicino. Il corpo di Gesù è il tempio vivo in cui ciascuno può sentirsi a casa perché è quella la casa del Padre e nel Figlio siamo figli anche noi. E Dio e l’uomo vivono insieme, condividono lo stesso sangue, sono impastati della stessa carne. 

E da allora ciascuno può essere tempio di Dio. Se uniamo la vita a quella del Cristo, se ci lasciamo ospitare da lui, diventiamo anche noi tempio con lui, luogo e spazio in cui Dio è di casa. Siamo con lui presenza di Dio, spazi di carne in cui Dio si rivela, in cui mostra l’amore di Padre che non chiede nulla per donare tutto, che ama soltanto per renderci liberi. Non più segno, ma certezza vera.

Quando poi fu risuscitato dai morti, i suoi discepoli si ricordarono che aveva detto questo, e credettero alla Scrittura e alla parola detta da Gesù. 
Mentre era a Gerusalemme per la Pasqua, durante la festa, molti, vedendo i segni che egli compiva, credettero nel suo nome. Ma lui, Gesù, non si fidava di loro, perché conosceva tutti e non aveva bisogno che alcuno desse testimonianza sull’uomo. Egli infatti conosceva quello che c’è nell’uomo
(Gv 2,22-25)

È la memoria a unire ogni cosa. A tenere insieme la Scrittura e la vita, Gesù e la nostra storia. Fare memoria della Scrittura e della parola detta da Gesù permette a tutti di leggere la vita e la storia con occhi attenti che scorgono Dio anche nei meandri in cui sembra assente, tra le pieghe del nostro vissuto, lungo i bordi delle nostre notti.

E Gesù continua a compiere i segni. Abbiamo anche noi bisogno di segni nei quali incontrarlo, di parole nelle quali ascoltarlo, di gesti nei quali vederlo, Gesù, però, non si fida dei cercatori di segni, di quelli che, instancabili, hanno sempre bisogno di vedere potenza, di assistere a portenti e meraviglie. Possono credere, certo, ma credono ai segni, si fermano a quelli senza andare oltre. 

Gesù spinge ad andare oltre, a seguire ogni segno fino alla fine, a entrare lungo il sentiero che il segno indica. E solo alla fine potremo vedere, potremo intendere il Segno più grande: il Cristo crocifisso e risorto, santuario nel quale abitare, tempio nel quale sostare. In lui vediamo l’amore, in lui scopriamo la libertà, in lui ci sentiamo a casa. 

mentre i Giudei chiedono segni e i Greci cercano sapienza, noi invece annunciamo Cristo crocifisso: scandalo per i Giudei e stoltezza per i pagani; ma per coloro che sono chiamati, sia Giudei che Greci, Cristo è potenza di Dio e sapienza di Dio. Infatti ciò che è stoltezza di Dio è più sapiente degli uomini, e ciò che è debolezza di Dio è più forte degli uomini (1Cor 1,22-25)

Signore,
abbiamo ancora bisogno di capire 
chi sei e cosa vuoi,
cosa cerchi e cosa dai.
E, lo confessiamo, siamo spesso confusi e divisi.

Alcuni guardano a un Dio che scaccia i cambiavalute,
altri a un Dio che esalta la vedova per il dono dei suoi spiccioli.
Alcuni chiamano Dio colui che libera da ogni legge che grava sull’uomo,
altri colui che chiede di osservare comandi e norme morali.
Alcuni credono ad un Dio da servire nella vita dell’uomo,
altri a un Dio da incontrare nel culto e nel tempio.

Guarda, Signore, la nostra follia e debolezza: 
non sappiamo tenere insieme
il segno e la realtà,
il cuore e la mano,
la preghiera e l’azione,
l’accoglienza e l’offerta,
la parola e la vita,la fede e le opere.

Confondiamo la libertà dei figli 
con l’essere schiavi dei nostri capricci.
Guardiamo con scrupolosa attenzione ai comandamenti 
e dimentichiamo che solo tu puoi rinnovare il cuore.
Continuiamo a costruire vitelli d’oro e d’argento,
a vivere idolatrie che derubano e svuotano il cuore.

Vieni ancora, Signore, a rovesciare i nostri banchi,
a sovvertire i nostri pensieri, 
a manifestare il tuo vero volto.

Liberaci dalla presunzione di comprare l’amore,
di fare incetta di vita e salute
in cambio di un po’ di spiccioli, sacrifici e preghiere.
E liberaci anche dall’idea di poter fare da soli,
di poter amare e accogliere il tuo volto negli altri
senza prima esserci intrattenuti con te,
aver ricevuto e accolto il tuo amore
mettendo tutto di noi nelle tue mani.

Signore, distruggi gli idoli che abbiamo innalzato,
i mercati che abbiamo elaborato,
le alternative che abbiamo inventato.
Rovescia ancora le nostre posizioni, 
scuoti i nostri rasserenanti torpori,
smaschera le nostre debolezze e stoltezze.

Ricorda al nostro fragile cuore
che l’amore non si compra 
ma va accolto e custodito,
che la libertà non viene dalla legge 
ma che ogni liberazione si compie in una vita nuova,
che negli altri che serviamo incontriamo il Cristo 
ma che possiamo amarli solo con l’amore 
che da lui abbiamo ricevuto.

Abbiamo bisogno di segni nei quali incontrarti,
di parole nelle quali ascoltarti,
di gesti nei quali vederti,
di sorrisi nei quali amarti.
Aiutaci però sempre ad andare oltre i segni,
per vedere e conoscere il Segno più grande:
il Cristo crocifisso e risorto,
santuario nel quale abitare,
tempio nel quale sostare.

E quando questo ci appare debole e stolto,
facci restare in silenzio davanti al Mistero
perché si compia in noi una nuova rinascita 
e ciascuno diventi il tuo Tempio
e ogni cuore diventi tua casa 
e ogni vita diventi tuo annuncio 
e la Pasqua si compia in eterno.

Liturgia della Parola

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