L’umiltà non è più una virtù

XXII Domenica Tempo Ordinario C (Sir 3,19-21.30.31 NV [gr. 3,17-20.28-29]; Eb 12,18-19.22-24a; Lc 14,1.7-14)

Tutta la vita è una rete di relazioni, di sguardi che si incrociano, di mani che si tendono, di parole che si affidano. E questa rete, spesso nascosta, prende forma e consistenza, diventa visibile e percepibile quando si è tavola, ad un banchetto. Lì si rivela la vita di ognuno, le scale sociali e i propri interessi, le priorità e le attese diverse.

Avvenne che un sabato Gesù si recò a casa di uno dei capi dei farisei per pranzare ed essi stavano a osservarlo (Lc 14,1)

Gesù, in giorno di festa, è invitato a pranzo dal capo dei farisei. Egli accetta l’invito, accetta il rischio di essere oggetto, di essere studiato come fosse un problema, di essere osservato come fosse un ostacolo. Accetta il rischio di esporsi in una casa che appare nemica

I farisei osservano Gesù, lo tengono d’occhio per scrutare le sue intenzioni, per comprendere il suo modo di agire, per intuire i suoi obiettivi. 

Diceva agli invitati una parabola, notando come sceglievano i primi posti

E, senza volerlo, è Gesù a tenerli d’occhio, a vedere le loro scene, a studiare le loro mosse, che rivelano il cuore e il loro modo di essere.

Gesù nota subito un particolare: la corsa a scegliere i primi posti, quelli più avanti, che sono più in vista. Nulla di male o di straordinario! Dobbiamo dircelo chiaramente, per non ridurre il vangelo a morale e buona etichetta. Non possiamo ridurre tutto a quel moralismo che esalta e loda chi appare umile e povero, chi, senza ritegno, fa vedere e ostenta la sua umiltà.

È pieno il mondo ed è piena la Chiesa di gente che fa di tutto per mostrare la sua umiltà, per farsi notare all’ultimo posto, per farsi lodare per il suo distacco.

Non è un male occupare i primi posti, ricevere onore e affermazione, avere consenso ed essere riconosciuto. Gesù non annulla le diversità, non livella, non rifiuta il merito e non disprezza ciò che ha valore.

«Quando sei invitato a nozze da qualcuno, non metterti al primo posto, perché non ci sia un altro invitato più degno di te, e colui che ha invitato te e lui venga a dirti: “Cèdigli il posto!”. Allora dovrai con vergogna occupare l’ultimo posto. 

Forse, la parabola che Gesù racconta è storia che va vissuta, che va provata sulla propria carne. 

A me sembra che non sia possibile diventare umile senza aver prima attraversato il momento iniziale di questo racconto. Bisogna avere sul volto quella vergogna di chi deve lasciare il posto che ha scelto per ambizione e proprio bisogno, per pretesa ed esaltazione. 

L’umiltà non è più virtù che si può coltivare, è pianta fragile e delicata, che appena germoglia corre ogni rischio, perché siamo troppo pronti, troppo furbi e bene informati. E nessuno può dirsi umile e se a qualcuno sembra di esserlo, deve prima imparare a tacerlo.

“Non metterti al primo posto”: potresti occupare un posto che non ti appartiene. Impara a restare indietro, senza sbracciare per farti vedere, senza dire perché lo hai fatto, senza confrontarti con chi ha scelto il posto più avanti. 

Forse, davvero, per noi più furbi e più navigati, Gesù oggi avrebbe corretto questa parabola, per noi che abbiamo pensato che bastasse viverla nella sua apparenza, fermandoci solo a ciò che sembra. Abbiamo imparato a vestire di umiltà le nostre arroganze, di mitezza il nostro potere, di povertà le nostre ricchezze. Ormai sappiamo che per farci notare dobbiamo esibire la nostra umiltà, dobbiamo dirci poveri e piccoli.

È stanco il mondo di tutti quelli umili che sono tali per interesse, che fanno sfoggio della loro umiltà, che mentre scelgono gli ultimi posti lo fanno per essere sulla prima pagina. È stanca la Chiesa dei finti profeti che sono sempre agli ultimi posti per additare e condannare quelli che, a volte senza averlo cercato, si ritrovano tra i primi.

L’umiltà non è una virtù sociale, da sfoggiare e mettere in vista. È, invece, postura del cuore, prospettiva della vita, relazione da instaurare. 

Gesù, però, non contesta l’onore che ciascuno riceve, non castra la voglia di essere degni e migliori, non condanna la voglia di sedere ai primi posti. Soltanto ricorda che solo colui che ci invita alle nozze può farci salire un po’ più avanti, può farci sedere un po’ più in alto.

Solo lui conosce il cuore, sa e vede ciò che noi siamo. 

L’intento della parabola è ricordarci lo stile di Dio, farci sentire che la scelta del posto segue regole che non conosciamo, ha priorità che spesso ignoriamo.

Siamo sempre alla ricerca di un posto dove mostrarci e dare spettacolo, che sia il primo o l’ultimo posto poco ci importa, ciò che vale è farci notare, farci lodare per ciò che pensiamo, farci esaltare per ciò che sembriamo.

Siamo alla ricerca di un posto e siamo discepoli di colui per il quale, alla sua nascita, non c’era posto nell’alloggio.

Eppure è proprio perché non c’era un posto per lui, che egli è stato esaltato, che il Padre lo ha fatto avanzare e salire avanti. Ha scelto sempre l’ultimo posto, quello del servizio e della croce, quello infamante e odiato da tutti.

Ciò che Gesù dice ai farisei può dirlo ad alta voce perché è lui il primo ad averlo vissuto, ad averlo scelto nella sua vita.

Invece, quando sei invitato, va’ a metterti all’ultimo posto, perché quando viene colui che ti ha invitato ti dica: “Amico, vieni più avanti!”. Allora ne avrai onore davanti a tutti i commensali. Perché chiunque si esalta sarà umiliato, e chi si umilia sarà esaltato».

“Chi si esalta sarà umiliato” e avrà inizio la sua salvezza, potrà iniziare la sua risalita.

La vita è un invito al banchetto di nozze. E il posto ci è riservato ed è quello che Dio vuole per noi. Ma non è frutto della nostra conquista, non è l’esito del nostro fare, non è l’arrivo delle nostre corse. È solo lui che può e vuole portarci avanti e darci onore davanti a tutti. 

A noi resta assaporare la polvere, riconoscere che siamo nulla se non è il padrone a chiamarci per nome, ad esaltarci e a darci un volto.

E poi, dobbiamo essere chiari. 

Non è bene umiliarsi da sé! È troppo difficile e troppo rischioso. Può diventare falsa modestia, può essere inganno e tornaconto, strategia ed esibizione. La vera umiltà nasce sempre dall’umiliazione, da qualcosa o qualcuno che ci abbassa la vita, che ci fa sentire la polvere e respirarne il profumo. Che siano gli altri o la mia debolezza, che sia un’ingiustizia o il mio peccato, che sia un mio nemico o la mia paura, non sono io che mi rendo umile. Io posso soltanto accettare me stesso, vedermi bene per quel che sono, senza vantarmi di ciò che non sono, senza esaltarmi per ciò che non posso, senza mostrare ciò che non ho. 

“Chi si esalta sarà umiliato” perché sperimenti che non c’è altra via per diventare degno ed esaltato.

C’è la vita e il dolore, il peccato e il fallimento, l’infedeltà e l’insufficienza a ricordarci chi siamo davvero. A ricordarci che, proprio per questo, Dio è già pronto ad esaltarci, perché il banchetto è un dono gratuito, è festa di nozze che viene donata.

Disse poi a colui che l’aveva invitato: «Quando offri un pranzo o una cena, non invitare i tuoi amici né i tuoi fratelli né i tuoi parenti né i ricchi vicini, perché a loro volta non ti invitino anch’essi e tu abbia il contraccambio. Al contrario, quando offri un banchetto, invita poveri, storpi, zoppi, ciechi; e sarai beato perché non hanno da ricambiarti. Riceverai infatti la tua ricompensa alla risurrezione dei giusti».

Ogni banchetto è un sacrificio, un’offerta di sé che crea comunione perché colui che invita mette in mezzo un po’ della sua vita perché gli altri possano servirsene ed arricchirsi.

Non invitare i tuoi amici… Sarebbe commercio e tornaconto, semplice scambio tra pari.

Invita poveri, storpi, zoppi, ciechi. Loro non hanno da ricambiare, sono stati umiliati dalla loro vita, sono privi di ciò che tu hai. Invita nella tua vita, perché ne abbiano parte e siano sazi, quelli che non hanno nulla da darti in cambio. Fatti servo degli umiliati, di quelli che sono alla fine di ogni considerazione e scala sociale. Solo loro possono farti beato perché la vita non è un triste scambio di utilità, un commercio di sentimenti, un baratto di buone virtù.

Essi non possono darti il contraccambio e il debito, da loro contratto, sarà Dio a saldarlo con te. Invitandoli al tuo banchetto ricevi Dio nella tua casa, lui che ha scelto di non avere altro posto se non quello che tu puoi donargli. 

Poveri, storpi, zoppi, ciechi Dio li ha scelti perché siedano ai primi posti. Gente umiliata, a cui manca qualcosa, gente imperfetta che non basta a se stessa, gente malata che attende una cura. 

E se tu sai accogliere le tue umiliazioni, se sai vivere della tua povertà, se sai riconoscere il tuo essere fragile, se sai dare un nome a ciò che ti manca, allora sarai uno di loro, uno di quelli che Dio invita al banchetto e li mette ai primi posti. E impara da lui a gestire la festa, a scegliere bene i tuoi invitati e sarà Dio a chiamarti per nome, a farti avanzare vicino a lui, perché saranno i poveri, che egli ha accanto, a riconoscerti e a suggerire a Dio il posto per te.

Liturgia della Parola

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