Tra l’acqua e il deserto

I di Quaresima B (Gn 9,8-15; 1Pt 3,18-22; Mc 1,12-15)

Il tempo di Quaresima si apre sospeso tra l’acqua e il deserto. Accostamento insolito, ma non si può vivere nel deserto e non si può vivere nell’acqua, eppure sono entrambi passaggi, impossibili ma necessari. La quaresima è la strada che ci fa attraversare questi due luoghi, è spiraglio che ci fa passare oltre i confini del male e della morte.

Le acque del diluvio diventano quelle del Battesimo, la polvere del deserto è l’aridità e la prova che ogni credente è chiamato ad affrontare, perché fare Quaresima è riscoprire che la vita risorge possibile perché Gesù ha attraversato per noi il limite del male e della morte. Ed è da questa sua scelta che sorge per noi il nuovo arcobaleno di grazia, che unisce la terra al cielo, che riannoda legami spezzati. Non più un arco di guerra appeso alle nubi, ma uno strumento di morte, la croce, che, ancorato alla terra, ci proietta e ci innalza oltre le nostre morti, per farci sentire l’annuncio insperato e inatteso: al vangelo possiamo credere. E non c’è notizia più lieta.

Lo Spirito sospinse Gesù nel deserto e nel deserto rimase quaranta giorni, tentato da Satana. Stava con le bestie selvatiche e gli angeli lo servivano. 

Gesù nel deserto rimase quaranta giorni. Ci va spinto, anzi, scacciato dallo Spirito. Lo Spirito preme e forza Gesù perché inizi da lì la sua missione, perché compia lì la sua prima opera. Quaranta giorni nel deserto, a dire che è tutta la vita a fare i conti con il deserto, la prova e la negazione, il silenzio e la morte, la precarietà e l’essenzialità. 

Nel deserto la vita si gioca a partire dalla morte. Quella nel deserto è vita che si riceve in dono, è silenzio che viene abitato. Il deserto provoca la nostalgia della schiavitù e la paura della libertà.

Come Noè sull’arca e Mosè del deserto, Gesù deve sfidare ciò che ci fa più paura. Deve restare sospeso, tra Dio e Satana, tra il bene e il male, tra la vita e la morte, tra gli angeli e le bestie. La nostra è vita in bilico, sull’orlo del baratro, aggrappati ad un arcobaleno, a quel pezzo di legno, la croce, ancorato alla terra. 

Pongo il mio arco sulle nubi, 
perché sia il segno dell’alleanza 
tra me e la terra. 

Siamo vite in bilico perché a tenerci in piedi è la promessa che non viene meno, la certezza che non ci saranno diluvi, che non sarà più usato da Dio il suo arco di morte, che, anzi, è ora appeso al cielo, a ricordare che Dio non è disposto a farci del male. Semmai, è pronto, e lo ha già fatto per sempre, a far male a se stesso. Perché il male non si cancella da solo, non basta passare una spugna. Il male ha le sue vendette e ritorsioni, le sue richieste di giustizia e di equità. Non si cancella il male con un sorriso, perché il vero male fa sempre male e quel male non lo si può ignorare.

Ed ecco, Gesù affronta quel male per noi. Subisce l’angustia della ferita, la spinta alla vendetta, il desiderio di rivalsa, la tentazione di farsi giustizia, la pretesa di salvare se stesso, la voglia di porre rimedio. 

Marco non ci racconta la tentazione a cui Gesù è sottoposto, ma nel suo vangelo ce ne lascia intuire il peso e la portata. È la tentazione della via della gloria, del potere che sottomette ogni cosa, che fa vendetta e passa sui corpi dei propri nemici, è la voglia di salvare se stessi rinunciando a salvare gli altri. 

La tentazione è anticipare la gloria senza passare dalla croce, senza passare dall’amore. E dobbiamo stare attenti perché spesso è a fin di bene che il male viene compiuto. Gesù lotta contro Satana e i travisamenti dell’incarico che ha ricevuto. Al Giordano il Padre lo ha chiamato Figlio e sono tanti i modi per essere Figlio e per essere Dio. Gesù, nel deserto, tentato da Satana, fa la sua scelta. Per la gloria, sceglie la via lunga dell’amore che è sempre la via della croce.

È questa la sfida a cui Gesù è chiamato, la vittoria che deve raggiungere. Rinunciare ad essere un Dio che scende dalla croce perché sa che per amore qualcuno su quella croce del male e dell’ingiustizia, della contesa e della vendetta, della giustizia e della bilancia, ci deve restare inchiodato. Ed è lui a dare la vita, servizio supremo che cancella ogni male, rende inutile ogni vendetta, fa ripensare ogni giustizia. 

E in quel deserto anche noi siamo invitati. Lo Spirito ci mette in gioco, ci butta fuori da noi e dalle nostre certezze per vivere l’esperienza, dura e tremenda, del deserto, della tentazione, della prova.

Perché è lì che ha inizio una nuova creazione. Gesù è spinto nel deserto per rifare l’uomo e rifare la vita. E Gesù, nel deserto, ci appare come l’uomo nuovo, l’uomo possibile. Gesù stava con le bestie selvatiche e gli angeli lo servivano. È il nuovo Adamo che ritrova la pace, che recupera il sogno perduto, che vive nel deserto come fosse un giardino. 

E ogni deserto, anche quello quotidiano che ci assilla e sembra strapparci ogni cosa, da allora è luogo in cui può rifiorire la vita, è oasi che ridona speranza, è spazio in cui risiede la grazia. 

La tentazione di Gesù è sfida mortale che ha qui il suo inizio e termina con il grido soffocato del Cristo morente. Perché è tutta la vita un deserto, una prova per la quale passare. Come Noè che è passato tra le acque del diluvio, così ogni cristiano è passato tra le acque del Battesimo. Una morte che ridesta la vita, una prova che rende capaci di rifare l’uomo da capo, di rifarlo perché sia figlio. Tutta la vita è passaggio attraverso la morte, per riscoprire che vita vera è solo fidarsi di Dio fidandosi dell’amore. Passaggio che è reso possibile, perché Gesù nel deserto riapre una strada e la porta fin dentro al sepolcro. Anche il sepolcro è deserto, luogo in cui si rischia di restare per sempre, ma anche lì egli apre una strada perché la morte del corpo e del cuore, della vita e delle relazioni, dell’io e delle mie idee, dei miei progetti e delle mie glorie è solo pausa che attende il risveglio, snodo che riapre il cammino, sonno in attesa del giorno. 

E sono tanti i sepolcri e i deserti che ci sembrano eterni, luoghi consueti in cui vivere. Gesù ci ricorda che il deserto e il sepolcro sono vie di passaggio, luoghi di transito e di lotta, incroci di vittoria e di rinascita. Il deserto è luogo in cui rinasce l’uomo, in cui, sospesi sull’abisso della morte, messi alla prova dalle nostre paure, possiamo alzare il capo e vedere la via che è stata aperta per noi, la via dell’amore che è la via della croce.

Quando ammasserò le nubi sulla terra 
e apparirà l’arco sulle nubi, 
ricorderò la mia alleanza 
che è tra me e voi 
e ogni essere che vive in ogni carne, 
e non ci saranno più le acque per il diluvio, 
per distruggere ogni carne».

Risplende per tutti, dopo il diluvio di morte, dopo la fine di ogni speranza, l’arcobaleno dell’alleanza. E noi ancora fatichiamo a crederci. Facciamo fatica a credere ad un Dio così, un Dio alleato dell’uomo, anzi alleato di questa terra e di ogni forma di vita. Dio ha scelto da che parte stare e, forse, il problema è che facciamo fatica a scegliere anche noi da che parte stare.

E Dio si ricorda dell’alleanza ogni volta che le nostre miserie, le nostre guerre e i nostri peccati fanno di nuovo addensare le nubi, preparando una nuova catastrofe. Allora Dio fa risplendere il suo arco di guerra, appeso al cielo, fa risplendere la Croce, piantata sulla terra, perché tutti possiamo vedere che Dio ha scelto la pace, che Dio ha scelto l’uomo, che Dio ha scelto l’amore.

Gesù andò nella Galilea, proclamando il vangelo di Dio, e diceva: «Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete nel Vangelo»

E non c’è altro Vangelo, non c’è altro regno di Dio. E tutto può già iniziare, persino in questo deserto, in questo tempo che appare senza futuro. E tutto può essere vero se volgiamo la mente e il cuore, se ci lasciamo attrarre da questa notizia, se poniamo fiducia e certezza in quell’uomo che ha vinto Satana e il male che ci portiamo dentro, la morte che ci lascia feriti, le ferite che ci danno la morte. Tutto è già vinto ma noi siamo in cammino. 

Cristo è morto una volta per sempre per i peccati, giusto per gli ingiusti, per ricondurvi a Dio; messo a morte nel corpo, ma reso vivo nello spirito. 

Cristo è l’unico giusto che può renderci giusti, perché ha preso su di sé l’invidia e l’odio, la vendetta e l’indifferenza, il male che noi proviamo. E allora tutto è già stato pagato, tutto è impresso su quel corpo e su quella croce. E davanti a lui, trattato da ingiusti, noi possiamo guardarci l’un l’altro e riconoscerci giusti, possiamo riscoprirci amati e perdonati. Con Cristo, il male è già dietro, la morte ci è già alle spalle.

Non abbiamo bisogno di creare o fare deserto.
Il deserto ci è dentro e ci è attorno.
Ci vuole solo coraggio, Signore, 
per abitarlo, amarlo e renderlo vivo.
Facci sentire che nel deserto sboccia la vita,
che nel silenzio nasce la Parola,
che nell’abbandono fiorisce la fiducia.
Resta con noi nei nostri deserti,
resta con noi nelle nostre lotte,
resta con noi nelle nostre mancanze.
Abita i nostri deserti,
vinci le nostre incertezze,
agisci nelle nostre stanchezze.
Ricorda che noi siamo polvere
e per questo continua ad amarci,
a rendere in noi viva sorgente 
l’acqua nella quale ci hai fatto rinascere.
Donaci forza 
per resistere alla tentazione suprema:
anticipare la gloria, confondere i regni,
ignorare la Croce.
Fa’ risplendere il tuo arco sulle nubi,
donaci di saperlo vedere
anche quando il diluvio sembra tornato 
e la vita sembra mancarci.
Facci vedere la Croce
quando fuggiamo la vita,
quando ci sembra di trascinare la storia,
quando tutto ci sembra ormai perso.
E liberaci dall’ansia dell’altrove,
per vivere questo tempo e sentirlo compiuto
e sentire che ora il tuo Regno è vicino
perché ci è vicino Colui che regna dal legno.
Amen!

Liturgia della Parola

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