La fine è Dio che ci tende la mano

XXXIII Domenica Tempo Ordinario C (Ml 3,19-20a; 2 Ts 3,7-2; Lc 21,5-19)

Il cuore è orientato al fine di tutto, a ciò che è essenziale e sopravvive. Non resterà pietra su pietra, non resterà nulla di ciò che abbiamo, non resterà nulla di questa vita. Tutto è precario e relativo. Ci sono guerre e divisioni, rivoluzioni e violenze, terremoti, carestie e pestilenze. Questa è la cronaca dei nostri giorni ed è la storia di questo mondo. Non è però ancora la fine. La fine è Dio che ci tiene per mano, che salva i capelli del nostro capo, che ci salva la vita fin dentro la morte.

Mentre alcuni parlavano del tempio, che era ornato di belle pietre e di doni votivi, Gesù disse: «Verranno giorni nei quali, di quello che vedete, non sarà lasciata pietra su pietra che non sarà distrutta».

Il tempio era bello, segno della presenza di Dio, del suo stare in mezzo al popolo. Eppure quel tempio è stato distrutto.

Non è, però, la fine di tutto. Dio resta in mezzo alla storia. E, a volte, bisogna che tutto crolli perché sia lui a farsi vedere, perché sia rotto ogni altro involucro e sia visto il suo vero volto. È solo con lui che prosegue la storia, perché nient’altro è davvero essenziale. 

Il tempio di Gerusalemme è stato distrutto. E tante cose sono state distrutte e tante ancora andranno perdute. La storia dell’umanità è il conto di ciò che è andato perduto. 

E non è questo la nostra vita? Il conto di ciò che abbiamo perso, dei disastri che abbiamo vissuto, delle sconfitte che ci hanno segnato, delle distruzioni che abbiamo subito? E non è anche questo la fede? Non è questo la Chiesa? Una continua distruzione di tutto, fallimenti su fallimenti, miserie sommate a scandali, evidenze che è tutto falso, che è solo interesse e tornaconto? Come si può credere ancora in Dio? Come si può andare contro quelli che ci spingono altrove, che ci mostrano che nulla ha senso e che Dio non può esistere e non può parlare?

E quando tutto sembra fallire, cadere e venire giù, quando il nostro mondo sembra crollare quello è l’inizio di un tempo nuovo. 

Gli domandarono: «Maestro, quando dunque accadranno queste cose e quale sarà il segno, quando esse staranno per accadere?». Rispose: «Badate di non lasciarvi ingannare. Molti infatti verranno nel mio nome dicendo: “Sono io”, e: “Il tempo è vicino”. Non andate dietro a loro! Quando sentirete di guerre e di rivoluzioni, non vi terrorizzate, perché prima devono avvenire queste cose, ma non è subito la fine». Poi diceva loro: «Si solleverà nazione contro nazione e regno contro regno, e vi saranno in diversi luoghi terremoti, carestie e pestilenze; vi saranno anche fatti terrificanti e segni grandiosi dal cielo.

A Gesù domandano quando sarà il tempo e quale il segno. Vogliono avere elementi certi da misurare. 

È facile, però, farsi ingannare, andare dietro a chi annuncia disastri e presenta questa storia, che è sempre uguale, come il tempo definitivo, come la fine di questo mondo. 

Non sono così le guerre e le rivoluzioni? Sembrano la fine del mondo. E poi, se guardiamo indietro, sono la costante della storia del mondo. 

È inutile, cedere al terrore e al fatalismo, gridare che è questa la fine di tutto. Non è subito la fine, ma tutto deve ancora accadere, anche la guerra e la morte, anche la rivoluzione e la lotta, anche la carestia e la pandemia. 

Sono sempre tempi difficili, tempi in cui il cuore è in ansia ed è in cerca di risposte certe. 

Ma davanti a queste vicende sempre attuali, Gesù ci chiede di non restare vittime della nostra paura, di non restare inchiodati alle nostre ansie. Non è ancora la fine. Non dobbiamo farci ingannare. 

Sono in molti ad ingannarci, mentre siamo preda della paura e del terrore. Ci sono sempre annunci di fine imminente, proclami che il tempo è finito, messaggeri di brutte novelle, profeti di disastri e di punizioni. Gesù ci dice di lasciarli perdere e di non affidarci alle loro violente e giudicanti parole. Non abbiamo bisogno di starli a sentire, non hanno nulla da annunciarci, non hanno messaggi da consegnarci.

Mentre altri ripetono che “il tempo è vicino”, noi sappiamo a chi guardare, a colui che per primo ci ha detto che in lui il tempo è già compiuto, in lui è iniziata una storia nuova, che vive dentro le nostre tragedie, che viene scritta nei nostri disastri. In lui il regno è già venuto! Ed in questa storia, che sembra fallire, egli ripete “sono io”, perché egli è vivo ed è presenza divina che riempie il tempo di ciò che è eterno. Solo lui può chiederci di andargli dietro, di entrare con lui nelle tragedie di questa storia.

Ma prima di tutto questo metteranno le mani su di voi e vi perseguiteranno, consegnandovi alle sinagoghe e alle prigioni, trascinandovi davanti a re e governatori, a causa del mio nome. Avrete allora occasione di dare testimonianza. Mettetevi dunque in mente di non preparare prima la vostra difesa; io vi darò parola e sapienza, cosicché tutti i vostri avversari non potranno resistere né controbattere.
Sarete traditi perfino dai genitori, dai fratelli, dai parenti e dagli amici, e uccideranno alcuni di voi; sarete odiati da tutti a causa del mio nome. 

Prima di tutto questo, prima di ogni altra cosa è sui discepoli che metteranno le mani. Saranno gli altri e saranno le vicende di questa terra a chiamare in causa la nostra fede, a metterla in dubbio, a perseguitarla e a processarla. È la vita a processare la fede, a trascinare a giudizio la nostra fiducia nell’unico nome che resta per sempre, che non cade quando cade tutto.

Sarà la vita a giudicare la fede, a provarla come si fa con chi è colpevole. E saranno anche gli altri. Perché credere è sovvertire i poteri, è soppiantare i criteri, è dare alla vita uno slancio nuovo perché, pur restando immersa nelle tragedie, veda Dio nel nostro tormento, senta Dio nella fine di tutto. Ogni fallimento e ogni sconfitta è il tempo e l’occasione per dare a lui testimonianza.

E non c’è modo per difendersi, non ci sono parole a reggere l’urto, a reggere il peso di chi ci chiede: perché credere ancora in Dio? Dov’è Dio, se ci sono le guerre? Dov’è l’amore, se regna l’odio? Dov’è la vita, se si soffre e si muore? Che senso ha credere ad un Dio lontano, che senso ha l’amore e con esso il perdono? Come si può amare il nemico? Perché rinunciare e fare scelte se tutto alla fine è destinato a finire? 

Non c’è difesa da preparare, non ci sono parole che possano salvarci, non ci sono teorie che possano darci ragione.

C’è da affrontare il tradimento di questa vita, di questi amori che sono precari, di queste vite che sembrano cedere. E ci sarà odio a causa sua. Perché alla fine ci vuole un colpevole, ci vuole un Dio da condannare.

Ma nemmeno un capello del vostro capo andrà perduto. Con la vostra perseveranza salverete la vostra vita». 

E davanti a tutto questo, si erge certa questa promessa. Non resterà pietra su pietra, tutto il mondo sarà sconvolto, le nostre vite saranno in pericolo, ma nemmeno un capello andrà perduto. È Dio la nostra cura. Solo lui è la nostra certezza.

Perseverare è l’altro nome dell’affidarsi. Se ti affidi a Dio, il mondo potrà cadere e venire giù, ma tu resti saldo nelle mani divine. Perché è questa la fine del mondo, una mano salda che ti afferra e ti salva perché Dio è amore che si fa presente, che ti accompagna in ogni crollo. E quando crolla ogni altra cosa, resti saldo il tuo cuore nell’unico amore, perché solo Dio può reggere il peso delle macerie di tutta la storia.

A volte bisogna che tutto crolli perché i piedi, di caduta in caduta, siano alla fine piantati su Dio.

Liturgia della Parola

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