Di Pasqua non so parlare

Domenica di Pasqua

Di Pasqua non si può parlare. Ci sono, certo, parole da dire, pensieri da esprimere, immagini da rivelare. Ma Pasqua non è parola che può essere creduta solo perché detta e pronunciata. Persino i cristiani fanno fatica a credere a Pasqua.

Perché Pasqua è lo sfondamento del tempo, è il varco nel muro, è il superamento di ciò che è umano. 

Pasqua è difficile perché bisogna avere il coraggio di lasciarsi alle spalle ogni poesia e ogni metafora per dare inizio alla vita nuova.

“Voi infatti siete morti con Cristo e la vostra vita è nascosta con Cristo in Dio!” (Col 3,3)

È facile ridurre la Pasqua. Parlare di speranza umana, di lotta fino alla fine, di luce in fondo al tunnel, di attesa e fiducia che poi alla fine qualcosa di buono verrà.

La Pasqua, però, non è la festa del buon senso, dell’ottimismo, dei venditori di belle parole, di quelli bravi a motivare, di quelli che credono nell’uomo e nelle sue forze perché non hanno altro in cui ancora credere.

E non è un caso se, forse, nemmeno io so cosa dire di questa Pasqua.

Perché bisogna tenere insieme il sangue e il vino, il corpo e il pane, il buio e la luce, la notte e il giorno, la fatica e il riposo, l’uomo e Dio, il tempo e l’eterno, i chiodi e l’unguento, la morte e la vita, il peccato e la grazia, la giustizia e il perdono, la terra e il cielo. 

Bisogna tenere insieme questa mia vita umana con la vita eterna di figlio che mi è stata data. 

Ma Pasqua non è un simbolo, non è l’armonia degli opposti, non è la continuità dei sensi e l’osmosi del vivere. Quella non è mai la Pasqua. Quella semmai è solo consolazione umana. Solita chiacchiera di chi non sa cosa dire quando la passione gli taglia la strada.

La Pasqua è sempre una vicenda sublime. È la contraddizione che si fa storia. È il giorno nuovo che il mondo non sa darsi da solo. È il primo giorno, il primo dei giorni, è il giorno ottavo, quello che non è previsto nei nostri calendari ma è l’unico giorno nel quale la vita è resa viva. È la vita nuova che da quel giorno di Pasqua e dal nostro giorno pasquale, quando siamo stati immersi nella Pasqua di Cristo, attende di venire alla luce.

La Pasqua è il giorno nuovo, il giorno che non ha fine perché è compimento di tutti i giorni.

E io non posso vivere se non di Pasqua! E la Pasqua è vera se inizio a viverla, se mi metto in cammino, in questo mondo così vecchio e stanco, da uomo finalmente risorto.

Si fa presto, però, a dire Pasqua, a cantare vittoria. Si grida troppo presto alla Pasqua riducendo la croce ad una comparsa, il dolore ad una parentesi, la morte ad una finzione, il sacrificio ad una invenzione umana.

Si fa presto a dire vita, a dire che bisogna vivere in pienezza. E il rischio è di ridurre la vita divina ad esasperazione di logiche umane. Egli è venuto perché abbiamo la vita in abbondanza. Ma non quella misera vita alla quale aggrappiamo le nostre speranze. No, non è la vita felice con la quale tentiamo di ingannare noi stessi. la vita che egli ci dona in abbondanza è la sua stessa vita perché possiamo vivere di lui, in lui, con lui, per lui.

Si fa presto a spiegare l’amore e a dirlo come ciò che ci piace. Si fa presto a dire che Cristo ci ha amato, dimenticando che la croce è quel sacrificio senza il quale l’amore si riduce a parole.

Sì, sacrificio! Perché Gesù non è venuto a darmi il buon esempio, non mi ha mostrato come devo fare, non mi ha detto soltanto come devo vivere. Egli mi ha amato! E solo chi non ha mai avuto il coraggio di amare può ancora giocare con le parole e contrapporre l’amore al sacrificio, al dono di sé, alla passione. Non c’è comunione senza condivisione, non c’è perdono senza fatica, non c’è risurrezione senza la croce. 

“Cristo nostra Pasqua è stato immolato” (1Cor 5,7b). E il banchetto pasquale, nel quale ci riconosciamo fratelli, la mensa per la quale diventiamo famiglia è vera perché c’è Cristo che ci mette insieme, che ci dona come cibo se stesso, che ci rivela che la sua vita già vive in noi perché nella sua morte ci ha resi partecipi della sua stessa vita.

E non conosco storie pasquali che non siano passate attraverso il dolore, che non siano state frantumate nel dono d’amore, che non siano impregnate del sacrificio. 

Amare è dare agli altri ciò che è mi appartiene, ciò che è in mio diritto, ciò che io sono. È prendere la propria vita e farne dono. E ogni dono autentico spezza la vita, la sacrifica perché donandola ai fratelli, sui quali Dio ha impresso la sua immagine, la vita diventa sacra. Non in uno scambio di favori e di simbiosi, non in un commercio che sa di comodo, ma in un dono che nulla trattiene, in un’offerta che vede il volto di Cristo vivo nel volto di ogni fratello.

Pasqua è vedere le ferite del Crocifisso e sapere che la vita che vivo mi è stata donata, l’ho ricevuta lì, sotto la croce, quando l’unico Figlio mi ha donato la sua stessa vita per rendermi figlio, quando sono passato attraverso le acque del male e del peccato e sono rinato a vita nuova. Perché non di vita mia posso più vivere, ma della vita divina che il Figlio mi ha dato. 

Pasqua è credere che vivere è passare dentro i sepolcri, attraversarli come strade obbligate, come sentieri su cui danzare, come luoghi in cui banchettare perché lì ogni seme che sembra perduto è vita che fiorisce in germoglio.

E di questo giorno di Pasqua mi interessa la corsa. Tutti si mettono a correre. 

C’è una tomba che è stata aperta e manca un corpo che non si trova. Maria di Magdala ha perduto il suo Signore, non è più nel sepolcro.

Di corsa va a denunciare il furto. Rivuole indietro quel corpo morto per proseguire i giorni come se la croce fosse una parentesi, una cosa ordinaria dopo la quale si può vivere come se nulla sia davvero accaduto. Rivuole il cadavere del suo amico, vuole stringere quella sua morte.

I due discepoli, anche loro di corsa, vanno al sepolcro. Vogliono vedere e capire.

Ma il Signore è Risorto! Solo questo di Pasqua so dire: il Signore è veramente risorto!

E da allora la vita non è più la stessa. La morte non è più la stessa. Il dolore, la guerra, l’odio, il perdono, l’amicizia, la pace, il peccato, la legge, non sono più la stessa cosa. L’uomo e l’umanità, da quando il Cristo è risorto dai morti, non possono più essere quelli di prima.

Ora devo solo imparare a vivere, perché con lui sono già morto, con lui sono già risorto. E tutto il tanfo di morte e di disperazione, di odio e peccato, di guerra e miseria che mi porto addosso devo solo attraversarlo di nuovo, con la fiducia certa che egli mi resta accanto. È qui, con la sua croce, a percuotere il mare che mi sembra in tempesta, a guidare il cammino che mi sembra impossibile. 

“Morte e Vita si sono affrontate
in un prodigioso duello.
Il Signore della vita era morto;
ma ora, vivo, trionfa”

Cristo è risorto, vita e morte si sono affrontate. E noi ora sappiamo chi ha vinto e sappiamo anche da che parte stare!

Inizia ora il tempo della Chiesa, il tempo di ciascuno di noi. Possiamo vivere in modo pasquale, possiamo vivere nel mondo recando con noi i tratti e la vita del Cristo che vive in noi.

“Levò un grido di trionfo: TUTTO S’È COMPIUTO!

E fu come se dicesse: Tutto comincia.”

Condividi