Porte chiuse e ferite aperte

Era la sera di quel giorno strano, in cui la morte suscita angosce e gli eventi del mattino sollevano domande, ma i discepoli sono ancora insieme. A tenerli uniti non è la voce del loro Maestro, ma la paura che rinserra i cuori, che pone un freno alla speranza, che argina l’onda di ogni emozione. 

È il primo giorno della settimana, il giorno primo del mondo perché è l’inizio di un mondo nuovo. Ma le porte sono chiuse perché è forte il timore degli avversari, l’insidia di chi è là fuori. Hanno paura di fare una brutta fine, di seguire davvero il Maestro di cui ancora sono chiamati discepoli. Ma ora non c’è più nulla da fare, nessuno più da seguire.

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Una tomba che profuma d’amore

Il Vangelo è la storia di un’amicizia. Una storia che conosce il pianto, il dolore, la paura, la morte. È la storia di ognuno quando comprende di essere amato, quando vede, tra le tante lacrime che la vita gli dona, anche quelle dell’Amico che sembrava lontano, quasi distratto e indifferente al dolore che accompagna ogni morte. “Colui che tu ami” è malato, dicono a Gesù. E non c’è migliore definizione dell’amico e dell’uomo. Ognuno ha impresso per sempre questo nome davanti a Dio. Ognuno è colui che egli ama. E prima di ogni altra cosa siamo questo per lui: coloro che egli ama. E gli amati si ammalano, provano dolore, attraversano il confine ostile della morte. E non una volta soltanto. La vita è costellata di morti: delusioni, fallimenti, cadute, perdite, insoddisfazioni. Perdiamo sempre qualcosa di noi, fino a perdere tutto noi stessi.

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In cerca di luce

Siamo tutti un po’ ciechi. Brancoliamo nel buio, alla ricerca di un senso, di una bellezza che ci sembra perduta, di una luce che ci sembra negata. È fatta di tenebre la nostra esistenza, di insicurezze e incomprensioni. Ed è nelle tenebre che si fa il male, perché sia nascosto e non sia visto. Siamo in cerca a tentoni, mendicanti di visioni e di vedute, persi nelle nostre cose che non ci fanno vedere bene, non ci fanno vedere lontano.
In questo cammino quaresimale, dopo il deserto serve l’acqua e anche il cibo. Serve una sorgente che non deluda, serve una fonte che non sia a secco. 
Di amori è costellata la vita e, proprio per questo, è costellata anche di delusioni. Perché amare è, spesso, ricerca disperata, ansia che è messa alla prova, attesa che resta delusa. Non bastano gli amori a riempire d’amore, non bastano le passioni a dissetare la sete. 
L’amore fa disperare, perché è agli amori che, spesso, si chiede ciò che da soli non sanno dare. Siamo ciechi quando pensiamo di tenere tutto, persino Dio, sotto controllo. Siamo ciechi e lo restiamo, quando ci illudiamo di vedere bene, di bastare a noi stessi e restiamo chiusi nel nostro buio.

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Sete e fame, sintomi della vita

La vita è questione di acqua e di cibo. La sete e la fame, infatti, sono i sintomi chiari della vita. Solo chi è vivo e vuole restare in vita ha sete e fame. Attorno all’acqua e al cibo, segni di vita e di pienezza, si condensa un dramma intero. Tutta la Scrittura è abitata dal cibo e dall’acqua, dalla fame e dalla sete. 

In questo cammino quaresimale, dopo il deserto serve l’acqua e anche il cibo. Serve una sorgente che non deluda, serve una fonte che non sia a secco. 
Di amori è costellata la vita e, proprio per questo, è costellata anche di delusioni. Perché amare è, spesso, ricerca disperata, ansia che è messa alla prova, attesa che resta delusa. Non bastano gli amori a riempire d’amore, non bastano le passioni a dissetare la sete. 
L’amore fa disperare, perché è agli amori che, spesso, si chiede ciò che da soli non sanno dare.

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Trasfigurare la storia

Gesù sale sul monte portando con sé tre discepoli. Li porta in disparte, su un alto monte. C’è bisogno di staccarsi dagli altri, di vedere bene e a fondo e per farlo serve salire in alto. È un monte che si eleva al di sopra dei nostri orizzonti, più alto delle nostre mete. È monte che avvicina al cielo e, per questo, fa vedere meglio la terra. Ci sono momenti in cui abbiamo bisogno di quest’altezza, di questa salita che, mentre sembra farci lasciare il mondo alle spalle, in realtà è solo il modo per vederlo meglio, per penetrare al fondo di tutto, anche del buio più fitto.

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Liberare Dio dalle false immagini

La prima tappa della Quaresima ci propone, come ogni anno, la scena delle tentazioni. È una prima sosta che mette le cose in chiaro. Vivere è affrontare una prova, perché la fede ci inchioda alla storia, ci provoca nelle scelte, ci rimanda a ciò che viviamo. La fede si dice con tutta la vita, della quale bisogna imparare ad affrontarne le prove e le tentazioni. Non credo a chi si bea di un Dio che ha già dentro, di un Dio che non scomoda e “non fa problemi”. Non mi fido di chi racchiude la fede in una pace che sa di narcotico, di chi, sentendosi figlio, pensa di essere già dentro casa. Non credo a chi ha paura di sporcare Dio con le parole che dicono prova e tentazione. E so che non si sporca l’uomo se riconosco che vivere è la tentazione più grande, che credere è la prova più difficile.

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L’amore sovverte ogni legge

È sempre facile fraintendere e smarrire il senso delle parole, ridurle a ciò che siamo in grado di intendere e di volere. La rivelazione, però, propone parole altre, che non si attestano sul nostro orizzonte. Parole che si muovono in alto, verso confini e orizzonti divini. Ed è per questo che non basta dire amore e non basta nemmeno amare. Amore e amare sono parole che dicono tanto, forse anche troppo, ma non dicono mai a sufficienza, perché quando la Scrittura parla di amore non parla di noi e dei nostri sentimenti, non parla delle nostre scelte e delle nostre azioni. Dire amore, per la Scrittura, è rivelare Dio e il suo volto, è dispiegare la sua santità, è raccontare la sua perfezione. 

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Immersi nel mondo per dire Dio

La luce è la prima delle creature che Dio ha fatto, la prima parola che Dio ha pronunciato. E luce e parola si fondono insieme. Tutto esiste per la sua parola e la sua parola è luce alla quale vedere ogni cosa. E tutto ciò che Dio ha fatto è cosa buona. Ogni opera, fatta da Dio, è cosa buona perché è fatta dalla sua parola, è impregnata della sua luce. E Dio ci dona ancora la sua parola, luce che vince le nostre tenebre. Essere discepoli, quindi, è accogliere in noi la sua parola, vivere della sua luce e compiere, insieme a lui, le opere buone che rinnovano il prodigio della creazione, la preservano dalla corruzione, la rendono bella e sempre più buona perché diffondono, in questo mondo, la sua parola, luce divina che Dio ha messo in noi.

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Una vita controcorrente

È sempre difficile distinguere i criteri divini da quelli umani, la sapienza di Dio da quella degli uomini. E ogni cristiano si trova nel mezzo, incerto abitante di logiche opposte. C’è una scelta da fare, ci sono decisioni da prendere, c’è un criterio da scegliere. E, nonostante le tante parole, è sempre difficile prendere per buone le beatitudini, parole che sconvolgono il senso comune, che mettono in crisi le nostre certezze, che ribaltano i nostri piani. Il nostro è un Dio imprevedibile, un Dio che ci chiede di andare controsenso sui sentieri della storia. 

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Venite e diventate Parola

Per quanto siano fitte le tenebre c’è sempre una luce a rischiarare la notte, per quanto sia profondo il silenzio c’è sempre una voce a sollevare il cuore, per quanto siamo lontani da Dio c’è sempre la sua parola a venirci incontro, a inseguirci nei nostri sentieri, a incontrarci sui nostri cammini sperduti. È così che ha inizio il Vangelo e si muove su strade inattese. Così avanza ancora oggi l’annuncio lieto: Dio si è fatto vicino, si è accostato alle nostre vite ordinarie.  

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