Solo amando diventi te stesso

XXXI Domenica Tempo Ordinario Anno B (Dt 6,2-6; Eb 7,23-28; Mc 12,28b-34)

Non è facile vivere. Non è semplice essere e diventare se stessi. Sbrogliare la matassa dei propri vissuti e trovare il filo della propria esistenza. Siamo frantumati e sconnessi, divisi in noi stessi in rivoli che non sanno incontrarsi. Siamo nessuno perché siamo mille, siamo persi e incapaci di chiamarci per nome, di riconoscere la nostra interezza.

Interiormente frammentati da mille cose, pieni di fratture e di interne scissioni, preda di mille incoerenze, fatichiamo a sapere chi siamo, a scegliere chi vogliamo diventare. Ci sentiamo dispersi come coriandoli che la vita ha tagliato, incapaci di ricomporre il foglio sul quale è impressa la nostra storia, sul quale le scelte hanno un senso e una meta.

E ancora non basta.

Ci disponiamo di fronte agli altri come a nemici, sentiamo che ci urtano e vogliamo urtarli. Incapaci di sentire che la vita che è in loro ci riguarda e ci appella, ci chiede risposte ed esige attenzione. Divisi tra noi e incapaci di unione, impegnati soltanto a scavalcare, a calpestare vite che non ci appartengono, pensiamo a salvarci dal destino comune, crediamo di vincere, restando da soli, la quotidiana battaglia a cui la vita ci espone.

Eppure, basterebbe iniziare di nuovo ad ascoltare per scoprire che basta l’amore a intessere e ricucire i fili del vivere che sono spezzati, basterebbe l’amore a superare le nostre fratture, le nostre ferite che ci spezzano dentro, ci dividono e ci frammentano. Basterebbe l’amore a sentire i fratelli, a saperli vicini, a renderci tutti uniti nel bene, complici assidui di un nuovo futuro, del regno nuovo che si fa a noi vicino.

Si avvicinò a Gesù uno degli scribi e gli domandò: «Qual è il primo di tutti i comandamenti?» (Mc 12,28b)
Nonostante ogni illusione, anche oggi, la vita di ognuno ha bisogno di un comandamento al quale obbedire. È una traccia e uno stile, un orientamento e una scelta di fondo. Non si può annaspare e bighellonare, per vivere serve darsi un comando, darsi un orizzonte che riempia di senso, darsi un cammino che riempia il paesaggio. 

E tutti hanno un comandamento che è per loro primo, una legge alla quale non si può sfuggire.

È importante allora chiedersi ancora: qual è il primo di tutti i comandamenti? A cosa obbedisce per me la vita, a cosa obbediscono le mie scelte e il mio cuore? A cosa obbedisce il mio sentire, il mio modo di vedere e giudicare le cose?

Ed è facile accorgersi di vite sdoppiate, di maschere appese e pronte all’uso, di persone confuse e perse in frammenti. Siamo tutti in ricerca di un comandamento, del primo che dia senso a tutti gli altri, del primo orizzonte che dia forma al mondo.

Non puoi perderti tra mille cose, tra tanti doveri che ti sei imposto da solo, tra tanti comandi che ti svuotano, che ti rendono spezzato e frantumato in mille frammenti.  

Gesù rispose: «Il primo è: “Ascolta, Israele! Il Signore nostro Dio è l’unico Signore; amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore e con tutta la tua anima, con tutta la tua mente e con tutta la tua forza”» (Mc 12,29-30)

Gesù non tentenna. C’è sempre un primo che decide la storia, che apre la scena e mostra il futuro. 

Ascolta! Il primo comando richiede l’ascolto, richiede avere una vita in tensione, un esporsi a qualcosa di nuovo. L’ascolto ci dice che non tutto ha inizio da noi, che noi stessi non iniziamo da noi. L’ascolto è invito a lasciarsi fare, a lasciarsi guidare. Ascolto è sentire che non siamo soli, che c’è qualcuno che ci rivolge parole e gesti che sanno d’amore. E c’è tutta una storia che bisogna ascoltare, quella che Dio ha intessuto con ogni uomo, con tutti gli uomini, persino con te. Ascoltare è imparare a sentire che non siamo soli, che abbiamo bisogno di qualcuno che ci prenda a cuore, che ci mostri che per lui valiamo, che per lui siamo amici preziosi. Ascoltare è scoprire un Dio che si è fatto nostro, si è fatto vicino, si è fatto incontrare. Ascoltare è riscoprire Dio a portata di mano, a portata del nostro cuore, del nostro orecchio e del nostro vedere. Ascoltare è lasciare che la vita ci sussurri il nome di Dio, ci faccia sentire il suo respiro. È lasciare che la storia del popolo eletto e del Figlio che Dio ha mandato continui a parlarci e a dirci di noi, continui a parlarci del suo amore, continui a svelarci chi siamo. 

L’unico Signore è quel Dio che si è fatto nostro ed è per questo che anche io posso dare del tu a Dio. È il tuo Dio, ormai ti appartiene, come un padre appartiene a sua figlia, come una madre appartiene a suo figlio. È tuo perché ti ama, è tuo perché ti ha parlato, è tuo perché anche tu sei respiro del suo stesso respiro.

E se ascolti Dio, sorge l’amore, sgorga l’amore da ogni tua fibra. E questo Dio che si è fatto vicino tu devi amarlo con tutto te stesso. 

Solo l’amore ti rende persona, ti rende uno e ti ricompone. È con tutto te stesso che tu devi amarlo, perché solo così tu stesso diventi uno, solo così si ricompone la vita scomposta che ti vibra dentro. Solo così raccogli i pezzi dispersi del tuo vissuto e li ricomponi, li metti insieme, per dare forma al tuo volto e al tuo nome. E solo allora cuore e anima, mente e forza, diventano uno e diventano te. 

Ci vuole l’amore per Dio perché tu possa sentire che la tua vita è come tunica tutta d’un pezzo.

E se oggi tante volte ci sentiamo frammenti, privi di un centro che ci renda persone, di un cuore e una mente che vogliano insieme, di anima e forze che si muovano insieme, è forse perché, dimenticando il primo di tutti i comandamenti, abbiamo svenduto frammenti di vita per metterli a servizio di mille comandi, di mille doveri che ci siamo inventati, di mille signori ai quali sentiamo di dover affidare un po’ di pezzi della nostra vita. 

Con tutto il cuore, con tutta l’anima, con tutta la mente e con tutta la forza sono chiamato ad amare. Ed è così che divento uno. È l’amore per Dio che mi fa uno, che mi riconcilia con me stesso, che ricompone le mie fratture, che mette insieme il cuore e l’anima, la mente e la forza. 

Perché per amare Dio ci vuole un cuore che compia una scelta che sia totale, ci vuole un’anima intera che sappia sentire e che impari ad esprimere, ci vuole una mente che coltivi un pensiero che faccia nascere una nuova mentalità, ci vuole una forza che metta in gioco ogni energia e ogni risorsa. E solo amando Dio con tutto il cuore, con tutta l’anima, con tutta la mente e con tutta la forza, io riscopro di essere uno, ricompongo il mio essere che cade in frantumi, raccolgo il mio io che sembra disperso. Nessun altro amore mi dona tanto, nessun altro amore mi restituisce la mia integrità, intesse il mio volto e lo libera da tutte le maschere.

E allora il primo dei comandamenti è l’inizio del mio nuovo esistere, del mio essere rinato di nuovo, del mio diventare un uomo integrato. E l’amore per Dio, che mi impegna tutto, mi dona orizzonti che appaiono nuovi, mi apre futuri che non pensavo, mi restituisce una vita che risorge nuova.

Il secondo è questo: “Amerai il tuo prossimo come te stesso”. (Mc 12,31a)

Sebbene a Gesù sia stato chiesto solo il primo comandamento, egli annuncia anche il secondo. È necessario e non può tacere. Perché solo il secondo garantisce che non mi sbaglio, che l’ascolto e l’amore sono veri. Non basta il primo comandamento, serve il secondo per dire che l’amore è concretezza che si tocca con mano. Il primo comandamento senza il secondo è astratto e senza valore. Può essere trappola o mera illusione. 

Eppure il secondo comandamento viene sempre dopo il primo. E non perché sia meno importante, ma perché è il primo a renderlo possibile. È il primo a renderlo autentico. Il secondo comandamento senza il primo mi espone al rischio di perdermi, di frantumarmi, di perdere pezzi, di rinunciare alla mia identità. Mi espone al rischio di scambiare l’amore vero per i tanti piccoli amori, di confondere l’amore con le connivenze e le dipendenze. “Amerai il tuo prossimo”: anche al prossimo tu apparterrai e anch’egli ti apparterrà, ma solo se saprai amarlo come te stesso. E amare se stessi non è egoismo. Io amo me stesso se realizzo me stesso e raggiungo la mia unità, la mia vera identità. Amo me stesso se mi realizzo e mi realizzo amando Dio. È l’amore per Dio che mi rende uno, che mi restituisce integro pienamente a me stesso.

Amare l’altro come me stesso è amarlo in Dio, è amarlo perché anch’egli sappia porsi in ascolto dell’amore di Dio e, ascoltando il suo amore, possa ogni giorno imparare ad amarlo diventando così anch’egli uno in se stesso. 

E tutta la vita e l’identità è solo circolo e comunione d’amore. Io non esisto se non sono amato. L’altro non esiste se non è amato. È l’amore a ricostruirci e a darci un volto. Ecco perché amare è un comando. È l’unico comandamento. Perché dire amerai è dire vivrai, è dire che i tuoi giorni si prolungheranno. 

Amare Dio per diventare te stesso, amare il fratello perché diventi se stesso e scopra nel tuo amore per lui il suono dell’amore che Dio ha per lui. E di amore in amore, ciascuno diventa se stesso.

E allora tutto può essere amato, se tutto è racchiuso nell’amore per Dio. Se tutto ha in Dio il suo senso e il suo compimento. 

«Non c’è altro comandamento più grande di questi» (Mc 12,31b)

Non c’è comandamento più grande di questi. Perché in questi è racchiusa la vita. Perché nei due comandamenti d’amore ogni altro comando è già presente, ogni altro valore è già osservato, ogni altro bene è già procurato.

C’è allora un comandamento più grande, l’amore totale per Dio, che non si regge senza il secondo, l’amore concreto per ogni tuo prossimo. E amare l’altro come te stesso è amarlo perché scopra l’amore, perché sappia che anche lui può essere uno, può superare conflitti e fratture, può ritornare composto e sanato dopo aver vinto ogni frattura. 

Vedendo che egli aveva risposto saggiamente, Gesù gli disse: «Non sei lontano dal regno di Dio» (Mc 12,34a)

Chi ama Dio diventando se stesso e chi ama il prossimo come se stesso non può essere lontano dal regno. È vicino, eppure qualcosa ancora gli manca per colmare la poca distanza. “Non sei lontano dal regno”. Ma cosa serve per entrare nel regno? Gli manca conoscere che tutto l’amore di Dio si è fatto carne ed è lì vicino. Gli manca conoscere che quel Maestro non è uno dei tanti che hanno parole, ma è la Parola che annuncia il mistero, non è uno dei tanti che sanno amare, ma è l’amore che svela se stesso e donandosi dona l’amore.

Questo solo gli manca per entrare nel regno. Accogliere Cristo e tutto il suo amore, ascoltare ancora la carne di un uomo che per amore accetta la croce. 

E allora amare non è cosa umana. Amare è cosa divina. Amare è il divino che si è fatto possibile. 

E quando dimentichi cosa significhi amare, quando non sai come amare davvero, ritorna al principio, ritorna ancora ad ascoltare.

Liturgia della Parola

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