E anche la morte si trasformò in danza

Assunzione della Betaa Vergine Maria (Ap 11,19a; 12,1-6a.10ab; 1Cor 15,20-27a; Lc 1,39-56)

La festa dell’Assunzione di Maria al cielo è una danza attorno alla morte. È nella morte (dormizione) di Maria, infatti, che si amplia e si compie la danza a cui Maria diede inizio con il suo Magnificat.

L’anima mia magnifica il Signore e il mio spirito esulta in Dio, mio salvatore, perché ha guardato l’umiltà della sua serva (Lc 1,46-48)

Maria, dopo aver detto il suo Eccomi esulta nel suo Signore, danza di gioia per le meraviglie di Dio, canta le grandi cose compiute in lei, che è solo umile serva a cui Dio ha volto il suo sguardo. E quell’esultanza, manifestata davanti alla cugina Elisabetta, è sinfonia che ricopre la terra, musica che muove la storia, danza d’amore a cui ogni carne è chiamata. È a quel canto che l’umanità deve accordarsi, è su quella melodia che bisogna riscrivere ogni storia, è su quei toni che bisogna muovere i passi. Non c’è altro progetto o sogno di Dio: che la terra diventi una danza, che ogni corpo esulti e canti le grandi cose che la misericordia sa compiere. È per questo che anche la morte è solo un passo di danza, il più alto e rischioso e, forse, il più bello e mirabile.

L’ultimo nemico ad essere annientato sarà la morte (1Cor 15,25)

Oggi, celebrando l’Assunzione di Maria, celebriamo anche la morte, che, annientato come ultimo nemico, diventa slancio e passo definitivo per una danza che non vedrà mai la fine, pienezza del Magnificat eterno, compimento di ogni danza terrena. E per Maria, quel giorno, si compì nel suo corpo, in quel tempio vivente, in quell’arca santa, il supremo atto di danza che la condusse nel cielo.

La morte, annientata come ultimo nemico, per noi resta lì, sullo sfondo e al culmine di ogni vita, come segno e promessa che introduce nella benedizione eterna. Dio si ricorda della sua misericordia e del suo amore, resta fedele alla sua parola di benedizione. La vita è benedetta per sempre e anche la morte, da nemica e oppositrice, è costretta a diventare strumento perché si compia la promessa di vita e di benedizione.

L’Assunzione di Maria è allora celebrare la morte, quell’addormentarsi che risveglia alla vita, che dà senso e spessore a tutto il vissuto. Morire non è rinunciare alla vita, non è rinnegarla o sminuirla. Morire è consacrare per sempre la vita, la terra e la storia, il volto ed il corpo. 

E oggi si festeggia in Maria ciò che sempre temiamo e allontaniamo da noi. Perché per Maria, prima dei redenti e salvati, anche la morte diventa danza, diventa amore che si consuma, diventa un Eccomi che risuona per sempre.

Cos’è la fine della vita terrena se non l’ultimo e più pieno Eccomi, quello nel quale la vita è consegnata per sempre, è affidata a colui che ci ha scelti e voluti?

Anche morire è atto d’amore, di fiducia che si abbandona, di dono che si affida e si offre, di speranza che getta ogni cosa in Colui da cui ogni cosa è venuta.

L’Assunzione di Maria al cielo è la festa dell’incontro tra il cielo e la terra. Nell’annunciazione Dio prende la carne umana e la rende terra celeste e divina. Maria è l’Arca dell’Alleanza, custode preziosa dell’Alleanza eterna, del patto che non si può sciogliere, dell’unione che non può essere rotta. Da lei, infatti, il Verbo, Parola eterna del Padre, prende la carne ed ella intesse nel suo grembo il corpo che Dio ha voluto darsi perché sia certa e perenne l’alleanza e il suo dono. Come l’Arca antica conteneva il dono della legge e i segni della presenza di Dio in mezzo al suo popolo, così Maria contiene nel suo grembo il corpo del Figlio divino, presenza nuova che rende nuova ogni carne.

La festa dell’Assunzione ci impone di volgere lo sguardo per terra, di tenerlo ad altezza d’uomo, perché è di Dio ogni carne umana, è di cielo ogni vita che noi incontriamo.

Maria è davanti, primizia della nuova vita, prima risorta con il Risorto, madre introdotta nei cieli dal Figlio perché è lei che ha introdotto il cielo qui in terra. E Maria apre le danze, dà inizio alla festa, dà il segno che ancora avvia il canto e la lode. Sì, questa terra è già benedetta, per questa terra posso ancora cantare, e anche questa, che resta una “valle di lacrime”, è già vagito di un mondo che sta per nascere nuovo. 

La festa dell’Assunzione di Maria è festa di questa terra, di questa che, per quanto ci impegniamo a non darlo a vedere, resta ancora una “valle di lacrime”. E sono tante le lacrime che ancora si versano, che bagnano questa terra da Dio benedetta. E sono lacrime dei poveri e dei sofferenti, dei disperati e di quelli ignorati, sono lacrime di dolore e di passione, di disagio e di depressione, di isolamento e di vergogna. Ci sono ancora lacrime di oppressione e di torture, lacrime di guerra e di violenza, di malattie e di tormenti. Si piange sempre per ogni morte e anche la terra sembra ormai piangere. Disastri, nubifragi, incendi, terremoti, pestilenze, carestie. E poi la brutalità e la cattiveria umana che ancora provoca lacrime e tristi tormenti.

Eppure oggi, anche in questa “valle di lacrime”, ciascuno può guardare la terra ed amarla. Perché oggi non si celebra il cielo che accoglie Maria in anima e corpo, ma si celebra questa terra, da Dio benedetta, questo corpo che spesso ci angustia, questa miseria che ci provoca il pianto. Sì, oggi è la festa di questa terra perché è qui che Maria ha danzato il suo canto di lode, ha innalzato al suo Signore la gioia estasiata e stupita, è su questa terra che Maria ha danzato perché Dio ha guardato lei e questa povera terra e in lei grandi cose ha fatto per noi.

Oggi sappiamo che non c’è tristezza o dolore, morte o passione, tormento o paura sui quali Dio non posi il suo sguardo. Eppure è fede difficile questa! È fede che rischia di tenere il capo per troppo tempo levato in alto. 

Non servono sguardi rivolti al cielo, ma sguardi capaci di intravvedere che il cielo è il compimento di questa terra, è il suo segreto e la sua nascosta passione, è il soffio che la tiene in piedi e la sospinge in alto. Perché il sogno di Dio non è che il cielo vinca sulla terra, ma che in ciascuno e in ogni cosa, il cielo e la terra si incontrino e si facciano uno. Il cielo e la terra come due amanti che si inseguono e perdono, che si cercano e seducono, si accarezzano ed amano. In Maria, nell’annunciazione e nella sua assunzione, la terra e il cielo hanno fatto l’amore, hanno gioito e goduto insieme. 

Ha spiegato la potenza del suo braccio… Ha rovesciato i potenti dai troni… (Lc 1,51-52)

È lei Maria, l’Arca nuova, che mostra a quelli che credono di essere i potenti e i signori del mondo, a noi che pensiamo di essere i padroni dei nostri piccoli mondi, che c’è un unico Signore della storia e del mondo, un Dio che ribalta le posizioni umane, un Dio che è ancora fedele alla promessa che ha fatto per sempre. Egli è un Dio di misericordia, un Dio cioè che ha il cuore vicino alle miserie dell’uomo, un Dio che si appassiona alla vita dei semplici, un Dio che ha intessuto il suo corpo con la carne umile di una povera vergine. Dio ha scelto Maria, serva umile e povera, per compiere e realizzare, una volta per tutte, quello che agli uomini non riesce mai: unire la terra al cielo, unire Dio all’uomo, legare con amore e passione il tempo e l’eterno.

Maria ha vissuto e visitato intensamente la terra, si è fatta serva di questa vita, si è fatta madre di questa umanità. Nella visita alla cugina ella si offre come strumento perché la gioia sia diffusa e propagata su questa terra. Solo visitando la terra si può raggiungere il cielo, solo prendendo a cuore la storia questa diventa eterna, solo vivendo la concretezza dell’amore che si fa dono e servizio l’amore salva e redime.

L’Assunzione di Maria, il suo essere in cielo in anima e in corpo, ricorda e annuncia che Dio ci prende sul serio. Non ci sono più cose del cielo e della terra, dell’anima e del corpo, dell’eterno e del tempo. Ci siamo noi e c’è il desiderio di Dio di riconciliare, nel Figlio, ogni cosa. Maria è lì come segno che infonde speranza, promessa che non resta delusa, conforto che spinge il cammino, traguardo che dona speranza.

Maria è già tutta nel futuro di Dio, quel futuro che nasce e si fa spazio nei solchi del nostro presente. 

Una donna vestita di sole, con la luna sotto i suoi piedi e, sul capo, una corona di dodici stelle. Era incinta, e gridava per le doglie e il travaglio del parto (Ap 12,1-2)

Maria ha introdotto il Figlio nel tempo, gli ha donato una carne ed un corpo, una casa e un petto di madre. Ed ora è il Figlio a introdurre la madre nel cielo, nella vita piena di Dio. È il Figlio a prendere quel corpo di terra e a condurlo nel cielo, perché ogni terra e ogni corpo vedano, sappiano e sentano, che anche il cielo è fatto di terra, anche in Dio è presente l’umano, che è quella la meta di ogni cammino, è quello il traguardo di ogni lotta e sconfitta, è quello l’esito che Dio ha sognato per noi. Maria, donna di terra, è diventata incinta del cielo perché il cielo potesse diventare per sempre la dimora e il grembo in cui questa terra riposa. È uno scambio mirabile e pieno di grazia. 

Se anche tu fai diventare la tua carne dimora del Verbo e lasci che lo Spirito faccia di te il grembo che dona al mondo l’Alleanza, che offre a tutti una proposta d’amore, allora anche la tua carne ha il cielo come destino perché di cielo è già impregnata.

Non si va in cielo sfuggendo alla terra, evitando il mondo e la vita. Non ci sono altri mezzi o risorse. E anche noi come Maria, noi umili servi, noi Chiesa sempre in affanno, siamo gravidi di un bambino da generare, di un Dio da donare al mondo. Anche la Chiesa è destinata ad essere nel travaglio e nelle doglie del parto. Non esiste se non per questo: per rendere incinta la storia, per rendere incinta la vita, per generare, ancora e per sempre il Figlio, e donarlo a questa terra. Che la Chiesa e ogni credente senta il travaglio di questo parto, di questo dono che comunica Dio, di questo dare alla luce il Figlio in ogni gesto, in ogni scelta, in ogni parola, in ogni rito! Certo, ci sarà ancora il drago rosso a mettere paura e timore. Ci sarà ancora la sua coda a far precipitare e cadere le stelle, a rovinare i desideri più belli, a intaccare anche i segni che orientano i passi. Ma il drago resta sempre impotente se nostro unico impegno è quello di partorire Cristo, di offrirlo e donarlo agli altri. 

La donna fuggì nel deserto, lì Dio le prepara un rifugio. Dio conserva per noi il rifugio sicuro, il ritiro nel quale egli si fa incontrare. È luogo di incontro e di vita con lui, perché nel deserto solo di Dio si può ancora vivere. Dio ha già provveduto a nasconderci nel suo patto d’amore ed è questa la salvezza che ormai si è compiuta.

Maria che viene assunta nel cielo è un segno che dice la meta e il traguardo. Dice che ogni storia ha una fine, una morte che ne segna il limite. E proprio per questo ogni storia ha anche un suo fine, un suo inesorabile epilogo. E Dio propone a noi che l’epilogo sia quello che ha vissuto Maria, perfino nella sua morte, nella sua dormizione beata. Non può restare nel sepolcro in eterno la carne di chi nel tempo genera il Figlio e lo dona ai fratelli. Non può subire la corruzione per sempre la carne, la nostra, quando è capace di farsi e dire il Verbo, presenza del Figlio e suo dono. È per questo che anche la morte diventa danza, diventa slancio che compie tutti gli slanci e i movimenti terreni.

Liturgia della Parola

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