Credere ad un Dio dei volti

La parola “Dio” può dire ancora molto ma il rischio è confondere Dio con i concetti che abbiamo. Possiamo immaginarlo come il sovrano potente che tutto dispone e organizza, come l’energia che muove le cose, come l’insieme di quello che esiste, come la parte migliore di noi. E forse il rischio è che ciascuno abbia e si faccia il suo Dio. Dedicare una festa alla Trinità ci chiede di ritornare a questo cuore pulsante e vitale del nostro credere.  Ci siamo smarriti per strada. Abbiamo manomesso il cuore del nostro messaggio e abbiamo offerto un Dio che fosse a misura umana. 

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La Pasqua non è conclusa

Per cinquanta giorni abbiamo celebrato la Pasqua. Abbiamo raccolto i frutti di questa storia, lasciando che la vita del Cristo risorto smuovesse le morti che ci portiamo dentro, aprisse i sepolcri che teniamo chiusi, ridestasse il coraggio e la voglia di amare. Si conclude il tempo pasquale, ma non si conclude la Pasqua, non si chiude e rinserra la storia nuova che, da quel giorno, ha investito la vita del mondo. La Pentecoste, infatti, più che chiudere il periodo pasquale, compie e rende perenne il tempo nuovo della Pasqua di Cristo. 

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Lo Spirito grida in tutte le lingue

Per cinquanta giorni abbiamo celebrato la Pasqua, abbiamo raccolto i frutti di questa storia, lasciando che la vita del Cristo risorto smuovesse le morti che ci portiamo dentro, aprisse i sepolcri che teniamo chiusi, ridestasse il coraggio e la voglia di amare. 
E ora, al termine di questo spazio di grazia, la Pentecoste ci proietta in avanti, ci spinge fuori e ci porta altrove. 

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