Melchisedek, re di Salem e sacerdote del Dio altissimo

Estratto da Una storia di fede, Abramo, di Marco Manco

Melchìsedek, re di Salem, offrì pane e vino: era sacerdote del Dio altissimo e benedisse Abram con queste parole:
«Sia benedetto Abram dal Dio altissimo,
creatore del cielo e della terra,
e benedetto sia il Dio altissimo,
che ti ha messo in mano i tuoi nemici».
E [Abramo] diede a lui la decima di tutto
.

Poi il re di Sòdoma disse ad Abram:
“Dammi le persone; i beni prendili per te”.
Ma Abram disse al re di Sòdoma:
“Alzo la mano davanti al Signore, il Dio altissimo, creatore del cielo e della terra:
né un filo né un legaccio di sandalo, niente io prenderò di ciò che è tuo;
non potrai dire: io ho arricchito Abram.
(Gen 14,18-23)

Abram torna vittorioso e subito gli esce incontro il re di Sodoma, re di una città peccatrice e degenere. Ma l’incontro tra i due, nella narrazione, è rimandato, perché tra l’uscita del re e il loro incontro il testo colloca ciò che è centrale e capitale per comprendere l’azione di guerra e il motivo del suo inserimento nel ciclo di Abram.

In scena entra un personaggio misterioso, che compare solo qui e resta impresso nella memoria e nel cuore del testo sacro e di tutta la tradizione ebraica e cristiana. È il re Melchisedek, re di Salem e sacerdote del Dio altissimo. Il suo nome racchiude il valore e la portata della sua persona, “il mio re è giustizia”, e il suo ruolo, re di Salem ossia re di pace, condensa e rappresenta ciò che si è appena realizzato, ossia la fine della guerra e il ritorno della pace. Giustizia e pace sono unite e rappresentate nella figura di Melchisedek e lo saranno poi in tutta la tradizione biblica. Occorre però evidenziare che Salem è il nome originario di Gerusalemme. Si innesta quindi, in maniera misteriosa e quasi fortuita, un legame tra la vicenda di Abram e Salem che diventerà poi la citta di Gerusalemme. Tuttavia quello che qui stupisce è la presentazione repentina e imprevista di Melchisedek e ciò che egli stesso compie: gesti semplici e usuali che resteranno impressi nella memoria storica e liturgica di Israele e dei cristiani.

Melchisedek esce quindi per offrire pane e vino. È però difficile stabilire i destinatari di questa offerta. Non sappiamo se si tratti di un semplice gesto di accoglienza e ospitalità verso Abramo o di una offerta rituale e quindi di un banchetto di comunione con il Dio altissimo. Il testo resta aperto, indefinito e, per questo, è diventato, nella tradizione ebraica e, ancor più, in quella cristiana, un testo di riferimento indispensabile. Basti pensare alla celebrazione di Melchisedek fatta dal Salmo 110, nel quale egli diventa figura e immagine del Messia, Re e Sacerdote, o al riferimento della lettera agli Ebrei (7,1-3) nel quale egli assurge a prefigurazione di Cristo, sommo sacerdote per sempre.

Era usuale che i ruoli di re e sacerdote fossero sommati in un’unica persona, ma è singolare che Melchisedek, re di pace, sia presentato come sacerdote del Dio altissimo e poi, nella benedizione da lui rivolta ad Abram, sia specificato che questo Dio altissimo è anche il “creatore del cielo e della terra”. Ancora più impressione suscita il fatto che Abram, nella parte finale, rivolgendosi al re di Sodoma, chiami a testimone “il Dio altissimo, creatore del cielo e della terra” prima evocato dallo stesso Melchisedek. Abram e Melchisedek sembrano condividere la stessa fede e lo stesso Dio. Eppure i due nulla hanno in comune: Abram è uno straniero e Melchisedek è sacerdote e re di Salem.

Capiamo che è questo il cuore e il perno del racconto di guerra: Abram ancora una volta ha a che fare con degli stranieri. La prima volta, con il faraone, non ha creduto alla potenza del suo Dio e all’efficacia della benedizione, per questo non è stato benedetto dal faraone e non è stato causa di benedizione per lui, anzi proprio faraone ha dovuto ricordare, all’Eletto, la potenza del Dio che con lui si è impegnato. Ora tutto è diverso: Abram vincitore viene benedetto da Melchisedek e Dio stesso viene benedetto per aver messo nelle mani di Abram i suoi nemici.

L’interpretazione autentica di ciò che è accaduto in guerra è data ancora da uno straniero. È lui che, per la prima volta, rende noto ad Abram l’evento accaduto: egli ha vinto la guerra perché Dio, che lo ha benedetto, gli ha messo in mano i suoi nemici rendendolo vincitore. È una teologia della storia avvenuta. Il re e sacerdote di pace annuncia e rende esplicita per Abram la benedizione di Dio che si è già mostrata nella guerra. Se in Egitto Abram non ha creduto alla benedizione e si è chiuso nella menzogna per evitare il confronto con la potenza ostile, qui egli si è mosso con coraggio e forza per salvare il nipote, eppure non sembra che questa scelta sia stata dettata dalla fiducia nell’efficacia della benedizione.

In ogni caso il coraggio di Abram è ora premiato ma spetta a Melchisedek rendere esplicito il senso di ciò che è accaduto: la benedizione ha compiuto l’opera, Dio si è schierato e il circolo di benedizione da Dio ad Abram e per Abram a Dio e agli stranieri è chiuso. Dio ha benedetto Abram e viene benedetto da Melchisedek che ha riconosciuto l’opera efficace di Dio. E ci resta il dubbio che i re sconfitti siano tali per non aver riconosciuto in Abram la luce della benedizione, ma questo è solo un dubbio, una suggestione, il testo non lo esplicita: sarebbe rischioso e troppo netto vedere Dio schierarsi contro gli altri re. Ciò che conta è che Dio abbia benedetto Abram e questa benedizione sia riconosciuta da Melchisedek, il quale, per questo, viene a sua volta benedetto da Dio. È l’efficacia delle parole che Dio aveva rivolto ad Abram: “Benedirò coloro che ti benediranno e coloro che ti malediranno maledirò e in te si diranno benedette tutte le famiglie della terra” (Gen 12,3).

Melchisedek sembra conoscere già Dio, indipendentemente da Abram, ma ora è necessario che egli benedica Abram e Dio a partire dalla vicenda di Abram. Con Melchisedek ha inizio la benedizione degli stranieri che benedicono Abram, l’elezione di Abram si mostra nella sua vera luce: diventare benedizione per coloro che lo benedicono perché la benedizione di Dio possa raggiungere tutti. Abram è strumento della benedizione di Dio che riposa su di lui perché attraverso lui possa raggiungere tutti coloro che la riconosceranno. È l’inizio della disseminazione della benedizione, della sua moltiplicazione e della sua concreta attuazione. Benedire Abram è benedire Dio e riconoscere che Dio ha benedetto Abram: solo così si può entrare nella stessa benedizione ed essere come innestati nella storia nuova che Dio sta inaugurando in Abram.

Melchisedek, la cui figura misteriosa è presentata in modo scarno ed essenziale, diventa quindi segno e anticipo di ciò che permane indelebile nella storia e nella fede degli ebrei e dei cristiani. Il capostipite del popolo eletto e padre dei credenti è riconosciuto e benedetto da Melchisedek, re e sacerdote, che rappresenterà un legame stretto con Gerusalemme e con il culto per gli Ebrei, con il Cristo, vero ed eterno Sommo Sacerdote per i cristiani. In questo episodio e in questo personaggio, così come viene riletto dalle due tradizioni di fede, i tempi e i luoghi si concentrano e Abramo è collocato nel cuore di questa concentrazione perché è lui il benedetto da Dio ed è guardando alla sua storia che Dio può essere benedetto.

Dopo aver ricevuto la benedizione, Abram non ha più bisogno di nulla: egli rifiuta le generose offerte del re di Sodoma appellandosi al “Dio altissimo, creatore del cielo e della terra”, allo stesso Dio che Melchisedek ha benedetto benedicendo Abram. Questi non vuole per sé alcuna cosa perché il re di Sodoma non può e non deve contribuire alla ricchezza di Abram. Il distacco mostrato da Abram è indice di una consapevolezza e di una verità che i racconti ci mostreranno e che il testo ci ha già anticipato: la città di Sodoma, insieme al suo re, è una città corrotta e malvagia e nulla di ciò che è di Sodoma Abram vuole accettare. Inoltre, dopo l’esperienza vissuta in Egitto e le parole di Melchisedek, egli sa di aver vinto per la benedizione che in lui si è compiuta e quindi non può usare questa per arricchirsi. Solo Dio può arricchire Abramo perché solo da lui dipende la vita e il cammino dell’eletto.

Resta la questione della decima: nel testo è impossibile comprendere chi sia a dare la decima di tutto. L’Autore della Lettera agli Ebrei, tuttavia, ricorrendo alla tradizione del suo tempo, ritiene che sia Abramo a dare la decima al re e sacerdote cosi come gli Israeliti pagavano ai sacerdoti leviti la decima parte di tutti i prodotti della terra (Nm 18,20-32). Abramo sembra qui anticipare le vicende e le modalità cultuali del popolo di Israele, il legame con Gerusalemme e il riconoscimento del sacerdozio.

Al di là delle motivazioni che hanno spinto all’inserimento di questo racconto, ciò che colpisce è la comunanza di fede tra Abram e Melchisedek, il riconoscere, l’uno per l’altro, l’azione del vero Dio Altissimo, il sapersi credenti della stessa fede. Dio ha chiamato Abram per intessere con lui una storia nuova e i fili di questa storia sono però già sparsi e presenti nella storia dell’umanità, sono già rivelati e mostrati anche ad altri e Abram e gli altri devono solo riconoscerli e intesserli in un’unica grande tela. Melchisedek vede e riconosce nelle vicende di Abram l’azione del suo Dio e Abram vede nel Dio benedetto da Melchisedek il riflesso e l’immagine del Dio che lo ha chiamato. Sono giunti, i due, da strade ed esperienze diverse, eppure sanno riconoscere, l’uno nell’altro, l’azione dello stesso Dio che li fa incontrare e rende possibile l’intessere una nuova storia. Il sacerdote del Dio altissimo e il patriarca si riconoscono reciprocamente e Gerusalemme, ancora lungi dall’essere il cuore della fede ebraica, inizia già a far vedere il suo splendore e la sua luce. Abram e Melchisedek, accomunati dalla stessa fede nello stesso Dio, sembrano però volgere lo sguardo ancora più avanti, verso colui che l’Autore della lettera agli Ebrei riconosce come il vero ed eterno Sommo Sacerdote (cf. Eb 7- 8), il Cristo glorioso, che nell’offerta del pane e del vino ha racchiuso ogni benedizione.

da M. Manco, Una storia di fede. Abramo, Tau Editrice, pp. 56-61

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